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La ricorrenza del 4 Novembre, giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, forse perché celebrata ormai in un giorno feriale, dunque nell’osmosi necessaria quanto significativa con il fluire della vita quotidiana, affida messaggi particolarmente persuasivi per chi voglia ascoltarli cogliendone un’attualità sempre palpabile.
Il Vicario Generale della Diocesi di Vercelli, Mons. Stefano Bedello, che ha presieduto la Liturgia in S.Andrea (l’Arcivescovo Mons. Marco Arnolfo era indisposto) è subito entrato in media res già nell’introdurre la Celebrazione, ricordando le parole di Papa Francesco che affronta il presente frangente storico chiamando con il proprio nome quella che è una vera e propria “Terza guerra mondiale”, pur se suddivisa in diversi scenari.
Ecco, non vi è chi non veda come tutti gli uomini e donne di buona volontà siano chiamati a scongiurare il rischio incombente che questi “diversi scenari” si fondano nella terribile prospettiva di un unico scenario globale, che porterebbe con sé derive di morte inedite.
Nel corso dell’omelia, il Vicario Generale non ha mancato di ricordare il valore unitivo di questa giornata, che – secondo un parallelismo parso particolarmente efficace – dice dell’importanza non già di eliminare le differenze, ma di tutte portarle, nel concorso al perseguimento del bene comune, ad esprimere i propri talenti seguendo l’idea di una coesione e collaborazione senza riserve né afasie.
Il parallelismo è quello che vede, da un lato, la lezione di San Paolo nella Lettera ai Romani, ricordare come nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, tutte le singole realtà, le singole “membra”, siano tutte necessarie se convergenti nell’unità.
E così le Istituzioni che presidiano la libertà della convivenza civile, i distinti poteri dello Stato, debbano coesistere nel rispetto delle reciproche prerogative.
Ma certamente è meglio ascoltare le parole del Celebrante, che sono a repertorio nel nostro video, che riprende altresì altri momenti significativi di questa mattina, 4 novembre a Vercelli.
Dopo la S.Messa in Basilica, ci si è trasferiti in Piazza Cesare Battisti dove, dopo l’alza bandriera, ai piedi del monumento ai Caduti, sono state poste le Corone d’alloro.
A seguire, la lettura dei messaggi istituzionali delle Autorità nazionali.
Nel pomeriggio si è poi svolta, sempre in Piazza Cesare Battisti, la cerimonia dell’ammaina bandiera.
Domenica 22 settembre nel Cortile della Fontana del Museo Leone è andato in scena lo spettacolo dedicato ai vent’anni dell’Associazione “Il Porto”.
Il Presidente del Museo Gianni Mentigazzi ha porto il saluto di benvenuto, seguito dalla presentazione di Cinzia Ordine che ha sottolineato l’importanza del traguardo ottenuto e dei numerosissimi eventi che hanno arricchito i quattro lustri dell’Associazione.
E proprio attingendo da questi eventi Roberto Sbaratto e Lorena Crepaldi, accompagnati dai musicisti Fabio Gorlier, Stefano Profeta e Luca Ruffino, hanno offerto un raffinato e gradevole intrattenimento ad un pubblico di spettatori conquistati dalla bravura degli interpreti.
Con poesie e racconti di Neruda e Prevert, Montale e Marchesi, con le più famose canzoni di grandi cantautori francesi, brasiliani, di Paolo Conte, Gaber e Jannacci, frammezzati da ricordi ed episodi di persone che hanno collaborato e collaborano con Il Porto, gli attori hanno offerto “il meglio di” tanti spettacoli, avvalendosi della straordinaria capacità canora di Lorena Crepaldi e della affascinante voce di Roberto Sbaratto.
Quasi due ore di puro spettacolo, che ha creato allegria, divertimento e pure momenti di commozione, il tutto sottolineato dai molti calorosi applausi di un pubblico soddisfatto che volentieri si sarebbe ancora trattenuto.
Al termine Cinzia Ordine ha ringraziato il Museo Leone, che ha spesso ospitato gli eventi del Porto fin dagli albori, la Fondazione CRV e lo sponsor commerciale Costantino Immobiliare.
“Se noi non diamo spazio alla vecchia natura che c’era, noi non avremo mai una nuova natura”.
Dal minuto 5 del video che fu messo a repertorio un po’ di tempo fa, quando l’architetto Andreas Kipar illustrò la filosofia del progetto Viale Garibaldi, si può forse trarre qualche spunto idoneo a spiegare l’oggi e il perché.
Il primo colpo di martello pneumatico fu dato (peraltro, dal lato opposto a quello in cui si iniziarono effettivamente i lavori) seguendo questa linea guida.
Con grande garbo, fu altresì spiegato – in termini che anche noi potessimo comprenderlo – il sottoprogetto consistente nel guarnire la piazza della Stazione ferroviaria di Vercelli con 21 piante di melograno: la mangiate la melagrana?! Si’?!
Ecco, così, dicendo – al modo di un Leonardo da Vinci all’indirizzo di certi suoi contemporanei – che il melograno fosse “cosa mangitiva” magari, forse (al minuti 6.27 del video) l’arkystar credeva di rendere l’idea di una rarefatta simbologia, tra l’uno e il molteplice, accessibile anche a certo volgo che guardava con qualche perplessità a quell’operazione urbanistica fino ad allora sulla carta, in procinto di prendere forma.
Oggi c’è molto di realizzato in Viale Garibaldi e – ad apparente conforto delle tesi di Kipar – si può toccare con mano come una essenza erbacea tra le più onuste di memorie sia lì a dire che la vecchia natura della società agrorurale vercellese si sia trasferita dalla risaia all’antica “Lea”, veicolando con sé un caleidoscopio di significati simbolici idonei ad illustrare la definitiva rottura del pur labile diaframma che a Vercelli ha sempre separato la città dalla campagna.
C’è, dunque, un “prima” del piano Kipar ed un “dopo” il piano Kipar.
Dopo il piano Kipar ha fatto la propria comparsa anche in Viale Garibaldi il Giavone (nome scientifico: Echinochloa – o Panicum – crus-galli).
In quest’altro video ascoltiamo cosa ne dica un Agronomo esperto.
Nel caso si volesse procedere al diserbo – ma non è detto: le piante infestanti potrebbero anche stare lì, per scelta, come testimonial di iridescenze culturali meritevoli di essere sottratte all’oblio – non resterebbe che quello meccanico, cioè manuale.
Un remake di “Riso amaro”, con l’intervento delle mondine, che renderebbe il Viale una sorta di incubatore, verso un richiamo in vita (alla stregua di ciò che si spera possibile con il Dna dei Mammuth) di storie perdute.
Mutatis mutandis, potremmo vedere tornare a Vercelli e non già su vagoni di terza classe, ma su eleganti navette da otto posti, le mondariso: forse, come allora, giovani provenienti dal Triveneto o dall’Emilia Romagna.
Lavorerebbero senza trovarsi con l’acqua alle caviglie, nè dovendo attendere, per dissetarsi, l’arrivo del barlitè; anzi, non mancherebbe loro l’occasione per concedersi qualche meritata pausa per una bibita, in qualche dehors che resiste.