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Fondation Bethléem a Mouda (Camerun) gestita dai Silenziosi Operai della Croce – Tanti hanno ascoltato la vivida testimonianza di Don Thierry

Cigliano e Borgo d'Ale

(testo di renato scotti – immagini di mirella nigra, lorenzo bisco e gabriele Bisco) – «L’elemosina, assieme alla preghiera e al digiuno – non solo dal cibo, ma anche come rinuncia a qualcosa per sé stessi per farne dono al prossimo – sono gli ingredienti fondamentali della Quaresima».

Lo ha ricordato il parroco don Alberto Carlevato alle cene povere quaresimale di beneficenza organizzate, anche quest’anno, nelle parrocchie di Villareggia, Mazzè e Tonengo, a lui affidate: tre cene povere pensate principalmente – ma non solo – per altrettanti destinatari: i bambini e i ragazzi del catechismo con le loro famiglie (14 marzo); le associazioni, i cori e i collaboratori parrocchiali (28 marzo); infine gli animatori, i giovani e i coscritti (3 aprile).

L’invito a partecipare a questi momenti comunitari è stato accolto da un numero davvero grande di persone, evidentemente desiderose non solo di trascorrere un momento di condivisione in un clima di sobria allegria, ma di contribuire anche e soprattutto al raggiungimento dell’obiettivo dell’iniziativa: raccogliere fondi per la missione Fondation Bethléem a Mouda (Camerun) gestita dai Silenziosi Operai della Croce.

A questo scopo hanno contribuito ottimamente le lotterie di beneficenza svolte al termine di ogni cena, magistralmente animate da don Alberto che ha saputo renderle, col suo usuale talento, coinvolgenti e divertenti.

L’iniziativa delle cene povere si è così dimostrata ancora una volta adeguata al senso del tempo quaresimale e l’importo raccolto sarà senza dubbio di grande utilità per le opere della Fondation Bethléem.

Dunque, un ringraziamento di cuore a tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito alla riuscita dell’iniziativa: ai partecipanti, agli organizzatori, ai cuochi, alle persone che con gentilezza ed efficienza hanno servito ai tavoli, nonché ai “Silenziosi Operai della Croce” di Moncrivello, che hanno ospitato le prime due cene, e ai proprietari e al personale del “Bar Trattoria Nazionale” di Villareggia dove si è svolta la terza cena.

La Fondation Bethléem a Mouda

Nel corso delle tre serate è stato proiettato un video realizzato presso la missione di Mouda.

In esso sorella Rosa, coordinatrice della Fondation e membro dei Silenziosi Operai della Croce, racconta in forma di intervista l’opera della Fondazione, facendo da sfondo alle immagini che sullo schermo mostrano la vita e le attività nella missione, musicalmente accompagnate dai balli e dai canti gioiosi della Chorale Voix Bethléem de Mouda.

Fondata nel 1997 da padre Danilo Fenaroli del Pontificio Istituto per le Missioni Estere (PIME), la missione Betlemme è gestita dal 2002 in collaborazione con l’Associazione Internazionale dei Silenziosi Operai della Croce (SODC).

Sulle orme del Beato mons. Luigi Novarese, fondatore dei SODC, la Fondation Bethléem intende «ridare all’uomo la sua dignità, qualunque sia il suo stato, anche in condizione di malattia».

Sono infatti accolte ed aiutate persone in condizione di povertà, sane oppure affette da handicap fisici e/o psichici, a prescindere dal loro credo religioso.

Molti sono i bambini, attualmente una cinquantina, con età variabile da poche settimane a due anni e mezzo, orfani o abbandonati dalle famiglie: fra le modalità di aiuto è possibile anche l’adozione a distanza.

La missione offre percorsi di scolarizzazione e corsi di avviamento professionali per aiutare i ragazzi ad inserirsi nel mondo del lavoro.

I corsi mirano a fornire competenze nell’ambito della falegnameria, della lavorazione del ferro, della pittura e della scultura, della sartoria.

Su quest’ultima, in particolare, sorella Rosa si sofferma e sottolinea che «nel momento in cui le ragazze riescono a comprare una macchina da cucire, possono iniziare da subito a lavorare e a guadagnare per sostenere le proprie famiglie».

Pur coronata da evidenti successi, la strada è sempre in salita: sia per problemi di carattere economico, sia per una certa mancanza di attitudine, nel tessuto sociale, a motivare, spronare i ragazzi affinché proseguano il percorso intrapreso nella missione.

Molti ragazzi non riescono a trovare lavoro e ritornano alla Fondation: è un problema che si è pensato di risolvere istituendo borse di studio per consentire la prosecuzione degli studi all’università, magari in Italia, ma per attuare questo progetto occorrono ingenti risorse economiche.

Alla missione di Mouda si crede fermamente nella Provvidenza.

E la Provvidenza si manifesta non solo nelle persone che offrono aiuto economico, ma anche in coloro che offrono aiuto professionale: ad esempio, i fisioterapisti della struttura Virgo Potens di Moncrivello, gestita dai SODC, che periodicamente si recano a Mouda per tenere corsi di aggiornamento ai fisioterapisti locali che giungono anche dall’estremo nord della regione.

Sul finale della video-presentazione sorella Rosa ringrazia tutti i benefattori e chiede che non manchino preghiere per la missione e per chi vi opera, «perché la preghiera aiuta a comprendere le reali necessità del fratello accanto a noi».

Le testimonianze dei medici volontari

Presenti alle prime due serate alcuni professionisti sanitari che hanno svolto – per la prima volta o già da alcuni anni – attività di volontariato per alcuni mesi presso la Fondation Bethléem e che con i presenti hanno condiviso questa loro esperienza.

Le condizioni sociali a Mouda, come in buona parte del Camerun, sono di estrema povertà, con pesanti ricadute anche in ambito sanitario.

Molti bambini e ragazzi sono affetti da malformazioni che sarebbero certamente guaribili se curate in tempo e con mezzi adeguati.

Molte patologie sarebbero curabili e risolvibili con antibiotici che, però, scarseggiano.

Per una “banale” otite non curata molti bambini restano sordi. Molti bambini restano orfani perché le loro mamme muoiono per complicanze durante il parto o successive.

Nei bambini sono molto numerosi anche gli esiti di ustione dovuti alla caduta accidentale nei bracieri che sovente sono accesi nelle case.

L’uso frequente di abiti sintetici, facilmente infiammabili, contribuisce inoltre a causare ustioni molto estese.

Per ragioni in buona parte ancora sconosciute, sono molto diffuse le artrosi alla testa del femore che insorgono in persone giovani, addirittura già verso i 25-30 anni.

Molti i piedi torti dovuti all’assenza di diagnosi precoce.

Gli interventi chirurgici sono svolti nell’ospedale di Maroua, a circa 30km da Mouda.

Le sale operatorie sono precarie, prive di strumentazione per l’attuazione di un piano d’emergenza nel caso di imprevisti durante un intervento chirurgico.

Le figure professionali sanitarie determinanti a Mouda sono principalmente quella dell’ortopedico e del fisioterapista.

Ma c’è necessità anche di ginecologi, nonostante in questo ambito l’attività sia per lo più ambulatoriale: c’è una richiesta crescente di visite e di cure per l’infertilità che, per convinzioni radicate nella cultura locale, si tende erroneamente a credere riguardi solo le donne, mentre invece non è affatto così.

Difficoltà e precarietà non sono state però l’unico elemento comune nelle vicende narrate dai medici: tutti hanno testimoniato di come la Fondation Bethléem sia un luogo che dà dignità alle persone.

Si resta stupefatti nel vedere bambini sani e sordomuti, a scuola, nella stessa classe, comunicare con il linguaggio dei segni fra loro e con l’insegnante.

Si percepisce un’umanità alla quale “da questa parte del mondo” non siamo più abituati: chi ha di più (e il “di più” è spesso molto poco) spontaneamente aiuta chi è maggiormente in difficoltà.

E questo aspetto – lo osservava in un suo scritto anche il fondatore, padre Danilo Fenaroli – è in felice contrasto con la mentalità comune che, invece, tende marginalizzare i più vulnerabili.

La testimonianza di don Thierry

Al termine della terza serata, rivolta principalmente agli animatori, ai giovani e ai coscritti, don Thierry Aime Tomo – sacerdote dei Silenziosi Operai della Croce, classe 1984, attualmente in servizio presso il centro di Moncrivello e nella parrocchia di Borgo d’Ale – ha consegnato ai ragazzi e ai bambini un’esortazione: nel momento delle grandi scelte non ritenersi “autosufficienti”, ma confrontarsi sempre – e, se necessario, “scontrarsi” – almeno con i propri genitori, anche quando non condividono il cammino che si intende intraprendere, affinché le scelte siano davvero ponderate e non affidata al caso o dettate da ragionamenti superficiali o di comodo.

«Ho studiato in Camerun e da bambino volevo fare il calciatore», ma spesso, confessa don Thierry, «saltavo scuola, senza dirlo a miei genitori, e andavo a giocare a calcio». Venutolo a sapere e avendo tentato invano di convincerlo a frequentare regolarmente la scuola, i genitori di don Thierry ritengono che l’unica soluzione sia mandarlo a studiare in seminario, «non perché mi facessi prete, ma perché in questo modo sarei stato costretto a studiare».

In seminario don Thierry non gioca a calcio, ma studia, partecipa alla Messa quotidiana, presta servizio come chierichetto… e poco alla volta sente crescere dentro di sé la vocazione al sacerdozio.

Decide di intraprendere questa strada, ma compie questa scelta da solo, senza consultarsi con i genitori, mettendoli al corrente solo dopo essere divenuto seminarista.

Seguono anni difficili: i genitori di don Thierry, ritenendo che il figlio li abbia esclusi dalla sua vita, si dimostrano ostili, non vanno a trovarlo in seminario, stentano a parlargli quando, due o tre volte l’anno, torna a casa per le feste.

Don Thierry si sente in colpa e nascono in lui dubbi sulla bontà della vocazione sacerdotale.

Il rapporto con i genitori si riallaccia solo quando mamma, papà e don Thierry riescono finalmente, e non senza sforzo di volontà, a parlarsi, a comprendersi e a perdonarsi.

«Parlate sempre con i vostri genitori», esorta don Thierry rivolgendosi ai ragazzi, «non abbiate paura a parlate con loro di tutto».

Sappiamo bene che in una delle fasi più delicate dell’esistenza – quando si attraversa quella “terra di mezzo” nella quale non si è più bambini ma non si è ancora pienamente adulti, quando il cuore che trabocca di desiderio per l’Infinito quasi si schianta contro la finitezza dell’umano – il rapporto genitori-figli spesso si complica, sembra quasi che gli uni e gli altri non possano capirsi o addirittura non vogliano farlo.

Beninteso, questo può accadere per le più svariate ragioni anche in altri momenti dell’esisenza.

Proprio per questo don Thierry insiste ed esorta nuovamente i ragazzi, ma anche i genitori presenti in sala:

«parlate sempre con i vostri genitori, sforzatevi di capirli; ma anche voi, papà e mamme, sforzatevi di capire i vostri figli e parlate con loro. Non riducetevi a mandarvi messaggi sul telefonino da una stanza all’altra della casa!»

Infine, rifacendosi alla video-testimonianza di sorella Rosa, don Thierry invita a prendere realmente consapevolezza del fatto che vi sono ancora regioni del mondo nelle quali una famiglia periodicamente resta per 2-3 giorni, o anche più, senza cibo. Qualcosa che a cui noi possiamo credere, un poco immaginare, ma che noi, qui, non sperimentiamo.

Un gesto concreto di aiuto, magari piccolo per noi, è un aiuto grande in luoghi come Mouda e può contribuire a salvare una vita.

Ma la carità, quella autentica e che dà frutto, quella che serve l’uomo nella sua interezza «per ridare all’uomo la sua dignità, qualunque sia il suo stato» (prendendo a prestito le parole di sorella Rosa), non nasce che dalla Fede e dalla Speranza intese come virtù teologali, infuse nell’uomo dalla grazia del Dio trinitario, che vivificano le virtù cardinali rendendole riverbero verso il prossimo dell’amore che Dio ha per ogni essere umano.

Posted in Pagine di Fede, Vercelli Oggi

E’ bello riproporre qui un articolo ripreso dal nostro archivio, che fa toccare con mano meglio di mille parole un’idea che non deve essere esiliata.

Senza nessun cedimento a nostalgie, né idealizzazioni oniriche di tempi che furono: semplicemente richiamando la testimonianza vera di persone che furono punti di riferimento.

L’articolo – oltre i contenuti – parla di due personalità della Sinistra politica, dirigenti del Partito Comunista Italiano, Piero Besate ed Irmo Sassone, che abbiamo avuto il privilegio di conoscere e – pur nella grande distanza anagrafica – ascoltare, dialogando con loro in qualche occasione.

In particolare di Piero Besate dirà l’atteso incontro in programma il prossimo 28 marzo.

La testimonianza di chi scrive è quella di un ragazzo che si affacciava alla politica, da posizioni differenti e – dati i tempi – non facilmente conciliabili e, anzi, inevitabilmente condizionate da contesti sia internazionali, sia nazionali, entro i quali, tuttavia, la radicalizzazione delle posizioni non riusciva a negare, né sopprimere, le emergenti esigenze di un “confronto” difficile, quanto ineludibile e che solo alcuni anni dopo avrebbe visto nelle figure di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro interpreti idonei a rappresentarne le ragioni, ad indicarne i percorsi lungo un crinale stretto, ma possibile.

Di quei giorni mi piace ricordare qualcosa che – almeno, spero – credo abbia portato un grande contributo alla mia crescita “pre-politica”, cioè la capacità di queste due eminenti personalità di dialogare nel rispetto delle opinioni dell’altro, quasi sollecitando l’espressione di quelle opinioni, anche se l’ “altro” era soltanto un ragazzo: mai un cedimento demagogico, mai il ricorso a dogmi (pur nei tempi in cui si sentiva spesso dire delle “due Chiese”), mai la demonizzazione dell’avversario quando il confronto toccava i punti maggiormente difficili da conciliare.

Così volentieri ci apprestiamo ad ascoltare queste testimonianze sulla vita e l’opera di Piero Besate, “un comunista”, nella speranza che possano ritrovare ascolto, dilatarsi in echi e risonanze capaci di  ripristinarne la fecondità.

***

“Un arcobaleno lungo tutto il cielo”.
Storia di Piero Besate, comunista italiano,
uomo del popolo
 

Fondazione Culturale Rinascita – Vercelli E.T.S. e Istorbive presentano il volume

“Un arcobaleno lungo tutto il cielo”. Storia di Piero Besate, comunista italiano, uomo del popolo,

realizzato con il coordinamento scientifico di Bruno Ferrarotti e contenente saggi di Ezio RobottiBruno FerrarottiSergio Negri e Lina Besate.

L’iniziativa si terrà venerdì 28 marzo 2025, a Vercelli, nella Sala Soms in via Francesco Borgogna 34, alle ore 17. Interverrà, insieme agli autori dei saggi, l’onorevole Federico Fornaro.
L’ingresso è libero.

Il libro ha per titolo un verso della canzone popolare “Arcobaleno di pace”, scritta da Piero Besate e cantata dalle mondariso vercellesi durante il lavoro in risaia. Un titolo poetico, simbolico, legato a una significativa storia di battaglie politiche e sindacali che costituiscono il contesto locale nel quale vive e opera il compagno Piero Besate, bracciante, sindacalista, dirigente politico e amministratore pubblico.
Piero Besate è stato un uomo del suo tempo. Quanto scritto da Ezio Robotti nel primo capitolo e gli approfondimenti contenuti nei saggi, storicamente documentati, di Sergio Negri e Bruno Ferrarotti, curati da quest’ultimo, ci consentono di delineare con precisione il contesto storico, politico e sociale in cui Besate ha operato nel secondo dopoguerra, come dirigente del movimento sindacale e del Partito comunista italiano, e come amministratore locale e regionale. E dal volume emerge anche l’uomo Besate, il Pierino degli amici e dei compagni, quello intriso di cultura, l’amante della poesia, di quel romanticismo della speranza, così ben raccontato e cantato nei suoi scritti e nelle sue canzoni. Sentimenti questi ben custoditi ed espressi, a chiusura del libro, dalla figlia Lina nello scritto “Il canto di Rosa”.

Santhià, rinomata per il suo Storico Carnevale, ha ospitato una serie di eventi spettacolari domenica 2 marzo, dando il via a uno degli appuntamenti più attesi dell’anno.

La giornata è cominciata con una coloratissima sfilata che ha attraversato le vie cittadine, incantando il pubblico con maschere, gruppi e bande musicali.

Uno dei momenti clou è stato l’arrivo di Gianduja, figura iconica del Carnevale piemontese.

Nel pomeriggio, si è tenuto il Primo Corso Mascherato, un vero trionfo di colori e creatività con oltre 2000 partecipanti.

Tra i protagonisti di questa straordinaria processione c’erano 10 Carri Allegorici, 10 Gruppi Mascherati a piedi, 2 Bande Musicali santhiatesi e il Corpo Pifferi e Tamburi.

La serata si è conclusa con un grandioso spettacolo pirotecnico, seguito dal Veglione carnevalesco a tema Anni ’90, con la special guest Nathalie Aarts.

Un evento che ha richiamato numerosi appassionati e curiosi, pronti a ballare e divertirsi fino a tarda notte.

I prossimi appuntamenti

Ma il Carnevale di Santhià non si ferma qui. La festa continua oggi, lunedì 3 marzo con la tradizionale Colossale Fagiolata alle ore 12 in Piazza Zapelloni.

Ben 20.000 razioni di fagioli, accompagnate da pane e salame, saranno distribuite ai partecipanti.

È un’occasione imperdibile per gustare la rinomata gastronomia locale.

Nel pomeriggio, alle 16, il Palacarvè ospiterà il Gran Ballo dei Bambini.

La giornata si concluderà nuovamente con un Veglione carnevalesco, questa volta animato dai Just4Deejays, presso lo Spazio Eventi di Via Montebianco 24.

Il Gran Finale

Martedì 4 marzo segnerà la chiusura dei festeggiamenti con una serie di grandi eventi.

Alle ore 10 si terranno i tradizionali “Giochi di Gianduja” e nel pomeriggio alle 14..30 si terrà il Terzo Corso Mascherato con la proclamazione dei vincitori.

La conclusione ufficiale del Carnevale avverrà alle ore 22 in Piazza Roma con il Rogo del Babaciù che segna la fine simbolica delle celebrazioni.

Il Carnevale Storico di Santhià si conferma anche quest’anno come un evento imperdibile, un tripudio di tradizioni, musica e divertimento che coinvolge l’intera comunità e i visitatori. Non perdete l’occasione di partecipare a questa festa unica che unisce passato e presente in un’esperienza indimenticabile.

La fotogallery è a cura di Gian Franco Gozzi.

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Redazione di Vercelli

Posted in Società e Costume

Tra gli obiettivi statutari e strategici della Fondazione occupa un posto d’onore la costruzione di un legame solido con le nuove generazioni, tanto di artisti quanto di spettatrici e spettatori.

Al centro delle riflessioni e dei progetti vi è l’impegno a costruire una connessione con il pubblico di oggi e di domani a partire da un’alleanza strutturale tra settore culturale e settore educativo.  Alla programmazione serale si affiancano quindi rassegne per famiglie e percorsi didattici pensati per l’infanzia e l’adolescenza.

Grazie alle rassegne di teatro scuola le arti performative si mescolano alla didattica e diventano strumento di apprendimento.

Abbiamo raccontato questo  legame attraverso le parole degli alunni e dei docenti delle scuole primarie venuti al Teatro Alfieri per assistere a L’usignolo e l’imperatore della Fondazione TRG. Lo spettacolo fa parte di un ricco cartellone di proposte per le scuole di ogni ordine e grado che prosegue fino a maggio.

Proprio il racconto teatrale ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen sarà ancora in scena l’8 marzo a Ceva e il 16 marzo con una doppia replica a Savigliano.

Un altro terreno di incontro tra il giovane pubblico e i linguaggi della scena è rappresentato dalle rassegne di teatro per famiglie, costruite di concerto con le amministrazioni locali e con la collaborazione della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani.

Sui palchi della regione si alternano prosa, musica, teatro di figura e teatro d’ombre, circo e danza contemporanea. T

ra i prossimi appuntamenti il trittico di circo contemporaneo Eccezione (21 e 22 febbraio a Ceva), Piccoli principi e principesse ispirato al libro di Antoine de Saint-Exupéry (22 febbraio Mondovì), il racconto danzato delle avventure di Pinocchio in Storie di un burattino (23 febbraio a Cuneo), lo spettacolo di burattini e marionette A spasso con Sandrone (2 marzo a Tortona) e il concerto circense Sonata per tubi (9 marzo a Novi Ligure) che trasforma in strumenti musicali gli oggetti di scena.

Tra gli spazi di interazione tra  realtà teatrale e scolastica c’è poi il progetto Playtime Esercizi per un futuro possibile, ideato in collaborazione con l’impresa sociale Stranidea e rivolto alle scuole secondarie di secondo grado, il progetto è giunto quest’anno alla sua terza edizione.

Il dialogo tra teatro e scuola si articola in una serie di incontri di carattere laboratoriale attorno ad un tema  ispirato da uno spettacolo in cartellone nelle stagioni comunali.

L’edizione 2025 di Playtime è legata allo spettacolo Questo lavoro sull’arancia di Marco Augusto Chenevier, in scena dal 14 al 17 aprile tra Venaria, Cuneo, Saluzzo e Mondovì.

(L’usignolo e l’imperatore ph Giorgio Sottile)

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Redazione di Vercelli

Posted in Cultura e Spettacolo

Periodo di intenso lavoro per don Enzo Sala, il nuovo parroco di Borgosesia, che sta ponendo le basi per inserirsi a pieno titolo nella comunità. Classe 1953, originario di Domodossola, il sacerdote arriva con una filosofia ben chiara: “Punto molto sul primato delle relazioni“. Per lui, il rapporto interpersonale e l’esempio concreto sono elementi fondamentali della sua missione pastorale.

Per comprendere meglio il percorso che ha portato don Enzo a Borgosesia, bisogna ripercorrere le tappe della sua vita. “Ho frequentato le scuole elementari a Goglio, poi le medie a Baceno, Gozzano e San Benigno Canavese, dove ho seguito anche un percorso tecnico” racconta.

Prima della vocazione, il suo cammino professionale lo ha visto impegnato per tre anni come elettricista, ma con una grande passione per la musica: “Suonavo la pianola in due gruppi, i Veneri 13 e i Figli del Vento, e cantavo nel coro ossolano Halleluja“.

La chiamata al sacerdozio si è manifestata già dopo la Prima Comunione, ma è a 19 anni che prende forma concretamente con l’ingresso in Seminario.

Nel 1975 mi sono diplomato e ho poi affrontato cinque anni di studi in Teologia“, fino all’ordinazione avvenuta a Novara il 21 giugno 1980.

Da allora, don Enzo ha svolto il suo ministero in diverse comunità: prima come coadiutore a Crusinallo e parroco di Montebuglio, poi a Cosasca e Trontano, insegnando anche al Liceo Scientifico Giorgio Spezia di Domodossola. Successivamente ha guidato la parrocchia di Romentino per dieci anni, e dal 2008 fino a oggi ha servito le comunità di Gozzano, Bolzano Novarese e Vacciago.

Ora inizia un nuovo capitolo a Borgosesia. “Ogni cambiamento porta con sé emozioni forti: ricordo perfettamente le prime e ultime notti in ogni luogo dove sono stato. Ora sto conoscendo la nuova comunità e sono stato accolto molto bene“.

Al centro del suo operato rimane sempre la dimensione spirituale: “Chiedo al Signore di darmi la salute per svolgere al meglio il mio servizio. Sono molto devoto alla Madonna di Fatima e gli ex parrocchiani di Gozzano mi hanno donato una sua statua, che porterò con me con grande affetto“.

Per don Enzo, la Fede deve essere vissuta in modo autentico e coerente: “Ciò che fai vale più di quello che dici o scrivi. Dobbiamo essere noi parroci i primi a essere felici, perché la gioia è testimonianza. La Fede va mantenuta viva come una fiaccola“.

Fondamentale per lui anche il tema dell’integrazione: “Viviamo in una società multietnica e multireligiosa, dobbiamo essere uniti nella diversità. La preparazione della Messa non si riduce solo all’omelia, ma è un percorso di crescita e condivisione“.

Guardando al futuro, don Enzo si affida alla Provvidenza: “La speranza non delude. Ho avuto la gioia di vedere nascere vocazioni nei luoghi in cui ho operato, e questo è il segno che la preghiera ha un ruolo centrale. Ricordiamoci sempre che ci vuole tutta una vita per capire che siamo niente“.

Con queste premesse, la comunità di Borgosesia si prepara ad accogliere un parroco che fa della vicinanza e dell’ascolto i pilastri del suo ministero.

 

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(giancarlo guidetti) – Anche in questo 2024, come ogni anno, si rivive ad Oropa il rito della pulizia della sacra effige della Madonna Nera.

L’appuntamento è per il sabato che precede la festa della Presentazione di Gesù al Tempio (21 novembre) e così l’altro ieri, sabato 16 novembre, dalle 14,30 alle 16,30, centinaia di fedeli hanno voluto essere presenti per partecipare a questo momento che ha – come a suo tempo sottolineato dal Rettore del Santuario, Don Michele Berchi – un duplice significato: ”Noi togliamo la polvere dalla tua statua, tu toglila dalla nostra vita”.

Una invocazione alla Vergine, profondamente e sinceramente amata qui ad Oropa e – citando Romano Guardini – il Rettore quest’anno ha chiosato:” Nell’esperienza di un grande amore – ha scritto Romano Guardini – tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito. L’elemento personale a cui in ultima analisi intende l’amore e che rappresenta ciò che di più alto c’è fra le realtà che il mondo abbraccia, penetra e determina ogni altra forma: spazio e paesaggio, pietre, alberi, animali”.

Così, seguendo il parallelismo, nel grande amore che c’è tra i pellegrini e la Madonna di Oropa, questo piccolo gesto rafforza la fede e la devozione, è una carezza che vogliamo dare alla Madonna, per riceverla da Lei.

Il nostro filmato mostra alcuni momenti di questa singolare “visita” alla Madonna Nera, riprendendo anche alcuni momenti delle operazioni di pulizia.

La statua viene asportata dalla nicchia alla quale di solito guardiamo per venerare la Vergine, deposta sulla mensa dell’altare, liberata dal manto e quindi pulita con panni di lino.

È stato redatto verbale nel quale si dà atto che il panno usato per pulire il viso della S. Madre e del Bambino è rimasto immacolato; il panno sarà poi esposto a fianco dell’altare.

Mentre non è stato così per il panno usato per pulire il vestito.

I fedeli accompagnano con i canti e la preghiera lo svolgersi di queste operazioni, concluse le quali il Rettore impartisce la benedizione finale.

 

Posted in Pagine di Fede