Mese: Luglio 2025
Dt 30, 10-14
Dal libro del Deuteronomio.
Mosè parlò al popolo dicendo:
“Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.
Sal 18
RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.
RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.
RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
Col 1, 15-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.
Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Lc 10, 25-37
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”.
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”.
***
UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE
Il testo della prima lettura dal libro del Deuteronomio, è l’ultimo dei testi attribuiti a Mosè.
Il popolo è in esilio, ma Mosè, ripercorre le tappe: osservazione di comandi e decreti, conversione, adesione con la mente e con il cuore.
Con il Deuteronomio si conclude la Torah del popolo ebraico.
Un messaggio di speranza, non distante, oltre il cielo o il mare, ma “vicino” tale da essere udito e “possibile”.
Obbedienza non come “atto di volontà”, ma come “conversione”.
Una legge “giusta” e “pensata”, non esterna all’uomo, ma “umanizzante”: legge di Dio ma “liberante” per l’uomo, esigenza “del cuore”.
Ma non ancora più importante, non è solo una “legge lontana” dall’uomo, è parola, non solo comandamento: “questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.
Siamo nell’evoluzione della logica del “comandamento”: non più le “singole parole” (parole del Decalogo), ma la parola che viene da Dio per coloro che Lui ama.
Una parola d’Amore.
Una parola che traduciamo in “fare la volontà di Dio”.
Uno “stravolgimento” della logica vetero – testamentaria.
Il cammino del popolo di Israele si è accompagnato alla promessa dell’alleanza, alla promessa di salvezza ed all’osservanza della legge donata da Dio al popolo.
Ecco la nuova “logica”: Dio deve intervenire per il popolo in esilio non con la legge, seppur giusta, che deve essere osservata, ma con una “legge” che entri “nel cuore” del popolo per aiutarlo a vivere nella fedeltà nella giustizia e nella fraternità.
La “legge” nel cuore che non si limita alle “cose da fare o evitare”, ma che mi libera, mi insegna il rispetto dell’uomo, della sua dignità.
Relazione d’amore e di fedeltà che è “impegno” dell’uomo e promessa di Dio.
Relazione e promessa che ci sostiene nel “passaggio” da quella “legge” scolpita nella pietra a quella “legge scolpita nel cuore”.
E quella “legge” come diventa “azione”? (Vangelo).
Gesù è in cammino verso Gerusalemme (capitolo precedente del Vangelo di Luca) lascia il villaggio dei Samaritani e trova un altro alloggio.
E si incammina, e guarda, allarga lo sguardo su quella strada romana che da Gerico conduce a Gerusalemme…30 Km in un paesaggio montuoso e desertico…
Ancora una domanda di un dottore, di un esperto, che suscita quella “visione di Gesù sul mondo e sulla vita” (parabola nei Vangeli a differenza dei testi in uso in Israele).
Ma soprattutto una domanda: la domanda dell’uomo, sull’uomo.
Non è racconto di “cronaca”, una catechesi, un insegnamento.
“Ed ecco”: Il discorso del Vangelo viene interrotto… Gesù nei versetti precedenti stava spiegando, non ha terminato, ma viene interrotto da un dottore della Legge.
L’uomo è subito presentato con il suo “titolo” di studio: uno importante, un giurista (nomikós).
Questo esperto della Toràh e della sua tradizione in Israele vuole mettere alla prova Gesù, vuole verificare la sua conoscenza scritturistica e la sua fedeltà o meno alla tradizione.
“Per metterlo alla prova”: l’ orginale del Vangelo greco dovrebbe essere tradotto con “per tentarlo” (usato da san Luca solo 2 volte, in questo brano e una nelle tentazioni nel deserto con la stessa parola il sostantivo greco peirasmos , appunto prova).
Il discorso diretto inizia riconoscendo a Gesù il titolo di “maestro” (didáskale) e l’attenzione è rivolta a ciò che è “contenuto nella legge”.
Che fare per ereditare la vita eterna?.
Ereditare la vita eterna: eredità è parola che viene utilizzata da San Luca con kleronomeo, cioè un bene che “non si merita” ma “si riceve”.
Gesù gli risponde con una contro-domanda: “Che cosa sta scritto nella Legge? Ancora meglio: “Come leggi?”, cercando in questo modo di portarlo a esprimersi in prima persona.
Gesù è abile maestro, lo fa avvicinandosi all’esperienza di quell’uomo e quindi gli chiede che cosa dice la legge visto che lui la conosce bene, sottolineando che forse la “legge” da sola non basta.
Ovviamente la risposta che “il dottore della legge” formula, è giusta, perfetta: il dottore della legge conosce la legge.
E il discorso si fa incalzante, passa alla “questione del prossimo e della prossimità” e lo sappiamo molto bene qual era la definizione di “prossimo” in Israele.
La questione, in realtà si presenta come ancora più “sottile” perché il “dottore della legge” chiede a Gesù: “chi merita di essere amato”.
Ed a questo punto, Gesù “entra nel vivo”, e lo fa con quella “parabola”, con quello “sguardo” che le è proprio, con quella “visione sulla vita” che saprà “aprire gli occhi” a chiunque vorrà “affinare lo sguardo”, a tutti coloro che “vorranno allargare lo sguardo per provare a guardare come guarda Gesù”.
La parabola la conosciamo tutti e le parole per spiegarla sono tante e tante ne sono state impiegate per fornire una comprensione legata alla esegesi, alle implicazioni, alle logiche…
Una parabola di un uomo per l’uomo.
Un “tale” che incontra un tale che si è “imbattuto” in altri tali…
L’umanità nelle sue molteplici sfaccettature.
Mi piace chiamarla la “parabola dei nuovi comandamenti”, perché si conclude con quei verbi che ci raccontano Dio e l’uomo.
Ci raccontano i “nuovi comandamenti di Gesù”, maestro di misericordia.
Quell’uomo che passa da quella strada “osserva, guarda e cammina” e mentre “vede”, ama.
E mentre ama, fa tutto quello che può…
Usa l’ “amore intelligente”, si ferma, si china, pulisce e cura le ferite, lo carica (meglio, lo solleva) sulla cavalcatura, lo porta, lo conduce, lo affida, si raccomanda, ritorna.
E quell’amore-compassione diventa misericordia, diventa l’amore “viscerale”, diventa amore dono totale… diventa “Và e anche tu fa’ così”, diventa fa’ misericordia, volgiti intorno, osserva, cammina, guarda bene, con discernimento, avvicinati, fatti prossimo, senti una “compassione viscerale”, fatti “scuotere” dall’umano, diventa “umano” e fa’ misericordia, prenderti cura del bisognoso, anzi, “prenditi cura dell’uomo”…
Non esiste il prossimo “ideale”, tutti siamo “prossimi” e tutti possiamo farci ed essere “prossimi”.
Prossimo è colui che io decido di rendere vicino, colui che mi rende “misericordioso”, misericors è da misereor e cor -cordis (cuore), colui che faccio avvicinare al mio cuore.
Il Samaritano non è prossimo, si “fa prossimo”.
Diventa una “persona che ama”.
Possiamo tutti “essere prossimi” diventando “persone che amano”.
E quei verbi-comandamenti diventano la “grammatica” della compassione di Gesù, e quei verbi “agiti” dicono chi siamo…
Essere cristiano è andare “oltre la necessita’”, è andare “oltre”: “te lo rifondero’… al mio ritorno…” un compito per noi… e Lui rifonderà.
Gesù ci affida il compito di mettere di più, di mettere di noi, di metterci in azione, con gli altri.
Abbiamo sempre bisogno di Dio che si fa nostro prossimo, per poter diventare a nostra volta prossimi
“Dio stesso, che per noi è lo straniero, il lontano, si è incamminato per venire a prendersi cura della sua creatura ferita.
Dio, il lontano, in Gesù Cristo si è fatto prossimo” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth pag.238).
Solo “facendoci prossimi” sapremo vivere in modo “giusto” in un “mondo giusto”, impareremo ad amare “in modo giusto”.
La risposta allora sarà: Amiamoci come Dio ci ha amato e vivremo nella bellezza, nella giustizia, nell’ Amore.
Riecheggia quell’amore-beatitudine che Luca ci ha presentato al capitolo 6.
Riecheggia quel “chinarsi” sull’altro, sulle sofferenze e sulle fragilità, sulle gioie per condividerle, sui silenzi per accoglierli, sulle parole per ascoltarle…sulla “persona”, chiunque essa sia, con qualsiasi caratteristica si presenti.
Riecheggia quel “commuoversi” che non si “ferma alla commozione”, allo scuotimento delle viscere”, ma che mi sollecita, muove alla compassione, muove all’ azione, muove l’ “io” verso il “tu”, il “me stesso” verso l’ “altro”, facendomi diventare “capace” di amare.
E l’amore, “trasforma”, mi rende “umano”, mi fa agire da cristiano.
Perché il cristiano è la persona dell’amore, è la persona dell’azione per amore, il cristiano non si ferma solo a guardare la sofferenza dell’altro, la “fa sua”, la “solleva”, la “porta”, la “affida”, si “prende cura” e non “abbandona”.
E fa camminare… “venite, benedetti…”.
Azione e cammino, perché chi “agisce”, non “subisce”, si “muove”, cammina…
Cammina, guidato su quei “pascoli erbosi”, “guidato”, perché a lui “nulla mancherà”, basterà l’Amore di Dio, basterà donare con gioia, non per “dovere”, ma per amore.
E allora anche noi “andiamo e facciamo lo stesso”.
E possiamo lodare (Salmo 18/19) Dio creatore per amore, che ci ha lasciato il “messaggio”: Dio ha creato le meraviglie dell’amore, nella natura e nell’uomo, la Parola rivelazione di Dio.
La “legge”, La Parola che “illumina” come il sole e la luce, la vita dell’uomo.
La Parola, il Logos che è Amore che ci ha insegnato ad amare.
La Parola “legge del Signore che illumina gli occhi”, quella “meraviglia” fatta carne (seconda lettura), quel Logos incarnato che diventa “mediatore” della creazione che ha riconciliato, con il suo sangue, tutta l’umanità con Dio.
Cristo è immagine del “Dio invisibile”, primogenito di tutta la creazione, del Dio-Amore che ci insegna l’Amore chinandosi sull’uomo.
Il Dio-Amore che dona e il Figlio-Amore donato che si dona e dona l’Amore.
E l’uomo “impara” ad amare, fatto ad “immagine e somiglianza” dell’Amore, agisce con amore, prova ad amare, cammina nell’amore…
Impara da quell’ “olio e vino versato”, da quelle “ferite fasciate”, da quel corpo “sollevato sopra la cavalcatura”, da quella “cura”, da quei “denari versati”, da quel “denaro rimborsato”…
Impara l’Amore.
Impara a “scendere dalla sua cavalcatura” per avvicinarsi in modo autentico a chi è sul ciglio della strada, impara a essere prossimo, a farsi prossimo, a diventare prossimo, perché amato e amante.
Impara ad essere “icona di Dio”, immagine dell’Amore.
Impara ad essere discepolo.
Impara ad essere colui che per “compassione”, “muove la propria vita” nell’amore.
Impara a non “rinchiudere” il prossimo in una definizione, perché “prossimo” siamo noi; siamo noi quando ci avviciniamo e siamo avvicinati, quando ci chiniamo e siamo oggetto di cura, quando impariamo a guardare ed agire, con gli occhi, il cuore e le mani di Cristo.
(elisabetta acide) – Tracce di futuro lungo il cammino sinodale
Non è ancora “tempo di vacanza” nella Chiesa… buon segno … lo Spirito Santo non ha stagioni e non va in vacanza…
La Segreteria generale del sinodo è al lavoro ed ha Pubblicato lunedì 7 luglio, il documento per un un “quadro di riferimento” per le Chiese locali.
E nel solco di Papa Francesco, ma diremmo del Concilio Ecumenico Vaticano II e dei passi successivi con i pontefici, si prosegue…
Ecco quindi le “Tracce per la fase attuativa del Sinodo ” qui il testo integrale.
Bello il titolo.
Tracce, direttrici…. Ciò che serve per un cammino… ma in libertà …
Tracce è una parola che rimanda alla strada, al cammino, ma che “lascia” intravedere una ricerca.
Le tracce vanno cercate, scoperte, studiate e poi “ragionate”… e la decisione è successiva… seguite, ma “elaborate”, secondo le esigenze delle Chiese locali.
E il nuovo pontefice, Papa Leone XIV, a cui il sinodo è a cuore, ha istituito anche due commissioni “nuove” per una lettura ancora più particolare da offrire alla Chiesa: in ambito liturgico e in tema di assemblee e concili. Dunque nuove “letture” affinché la Chiesa viva veramente ciò che è la sua “natura”: essere sinodo.
E se la chiesa è sinodo allora, lo “stile sinodale” dovrebbe essere “di casa”.
Forse questo è il punto.
Ciò che dovrebbe essere evidente ancora è in stato di “partenza”, diciamo – usando la metafora del cammino che tanto ci piace quando si parla di sinodo – che qualche Diocesi ancora si sta “legando le scarpe”, altre hanno percorso Chilometri, altre sono ancora alla tappa del rifornimento…
Diverse le velocità, una sola la direzione di marcia

E l’ introduzione ai documenti, a cura del cardinale Mario Grech offre una “lettura” proprio di questa “chiesa sinodale “ e di queste “tracce“ :
”un orizzonte con cui confrontarsi” e un incoraggiamento ad “avanzare con coraggio”; “molte Chiese locali nel mondo stanno “percorrendo con entusiasmo” il cammino sinodale; altre, invece, “si stanno ancora interrogando su come intraprendere la fase attuativa o sono ai primi passi”.
Le “velocità” diverse dei cammini, il “coraggio” degli uomini e delle donne di Chiesa che sono necessari affinché la Chiesa renda viva e vivificante questa sua “natura sinodale”.
Ed a questo proposito mi pare un passaggio coraggioso e significativo per la Chiesa un “invito” alle Chiese locali che emerge dal documento: “l’effettivo accesso a funzioni di responsabilità e a ruoli di guida che non richiedono il sacramento dell’Ordine da parte di donne e uomini non ordinati, sia laici e laiche, sia consacrate e consacrati”.
Mi soffermo su questo punto perché credo veramente che il cammino della Chiesa sia il cammino di tutti.
Abbiamo bisogno, come Chiesa, di “animare il dialogo” e di recuperare quello “scambio di doni” di cui tutti sono portatori, senza resistenze, senza timore di “perdere il potere”, ma con la ricchezza dell’ intelligenza in dialogo dj fede.
I documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono una “luce” chiara e luminosa: basterebbe leggere il proemio del decreto sull’apostolato dei laici “Apostolicam Actuositatem” per renderci conto della “traccia” del Papa e dei Padri conciliari.

Una traccia che ha visto percorsi, ma che ancora deve essere “scoperta” e valorizzata.
E, se proseguiamo nella lettura, i capitoli III e IV offrono anche gli “ambiti” che andrebbero declinati e forse “istituzionalizzati”, forse meglio dire “riconosciuti e valorizzati in corresponsabilità ecclesiale”.
Sì mi piace di più.
Quei laici che il Concilio ha sottolineato, hanno piena dignità in Cristo che è di tutti i credenti, uomini e donne, in quanto membra vive della Chiesa -popolo di Dio (cfr. costituzione dogmatica Dei Verbum al capitolo VI).
Il laico, uomo o donna che sia, è il cristiano-testimone che è stato afferrato da Cristo, con la sua esperienza di credente, con la sua vita, con la sua formazione ed il suo impegno nella Chiesa e nella missione della Chiesa; quelli che il Nuovo Testamento chiama eletti, discepoli, santi, fratelli.
Dunque non può essere solo una questione di “nome”.
E dunque una “traccia” importante, che invita, nel rispetto dell’ autorità competente di Vescovi e Sacerdoti , ad uno “spazio” di discernimento comune, per una lettura seria della realtà e dei segni dei tempi, con gli occhi della fede di uomini e donne, per prospettive e direzioni all’ insegna della responsabilità comune.
Questa è Chiesa sinodale.
Questione di … stile
Una Chiesa che si apre al “volto” dell’ uomo per guardarlo con lo sguardo di Dio ed una Chiesa che guarda al volto di Dio per avvicinarsi insieme come figli a quel volto di Padre mostrato da Cristo .
Chiesa dei figli e dei fratelli, Chiesa che cammina e che “discute”, Chiesa che dialoga ma che opera, Chiesa che si interroga e interroga…
E, per usare una immagine biblica: la barca, forse, su quel lago, sta ora navigando “dopo la tempesta” e Pietro per tornare a riva può contare su tutti coloro che sono sulla barca, insieme a remare, in mare aperto , ma con una direzione, e anche in mare aperto si “trova una direzione” verso la quale andare e verso la quale indirizzare “i rematori” per quella “Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta ad accogliere” (Papa Leone XIV, Primo saluto e benedizione, 8 maggio 2025).
Le “tracce”.
Indicazioni dunque “di metodo”, declinate in percorsi e processi, in obiettivi, ma che hanno un denominatore comune: “lo stile sinodale”. “Un’esperienza spirituale ed ecclesiale che implica crescere in un nuovo modo di essere Chiesa, radicata nella fede che lo Spirito elargisce a tutti i Battezzati i suoi doni, a partire dal sensus fidei” (Tracce n.4).
Bella parola “stile sinodale”, apparentemente semplice, ma che cosa significa?
Forse occorre partire dalle Scritture: “è parso bene allo Spirito Santo e a noi” (At 15,28), quello “stile” appreso dal maestro di Nazareth che è “sguardo sull’uomo”, sull’umanità, che è fatto di chiamata, di ricerca, di interrogativi e di dialogo.
Lo “stile” della pedagogia di Gesù.
Lo “stile del Vangelo” deve diventare lo “stile della Chiesa”, uno “stile”, che non ha “processi” rigidi ma che è fatto di fraternità, di comunione, di corresponsabilità, di coraggio, di sostegno ,che si arricchisce di vita Spirituale, di Eucaristia, di accoglienza, di tolleranza, di rispetto.
Lo “stile sinodale” è progettazione condivisa, ma con lo spirito della “convivialità”, dove tutti siamo chiamati, lo “stile” della mensa, dove invitati, rispondiamo all’invito per essere “Chiesa” in comunione.
A GESU’ PER MARIA

San Luigi Maria Grignion de Montfort
Lo “stile sinodale”, allora forse, secondo me, potrebbe essere quello della Madre di Gesù che ci “porta Cristo” e lo fa “indicando”, “segnando” quella via: “fate quello che vi dirà” (cfr Gv 2,1 12), lo stile del cammino “in fretta”, “sollecito” (cfr, Lc 1,39-56), lo stile del “serbare le cose nel cuore” (Lc 2,16-27), dell’Interrogare “Figlio, perché ci hai fatto così?” (cfr. Lc 2,41-50), lo stile dell’esserci “sotto la croce di Gesù stava sua madre” (cfr. Gv 19,25-27), lo stile dell’ “Eccomi” (cfr. Lc 1,26-28).
“Spetta alle Chiese locali trovare modalità appropriate per dare attuazione a questi cambiamenti” (DF 94 Documento Finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 26 ottobre 2024).
Quella barca in mare aperto: quanto conta saper remare

Questo mi pare un “luogo” significativo: analisi della realtà locale, con la sua storia, con le sue difficoltà, con i suoi carismi, con la sua collocazione geografica, con i suoi orizzonti…
Una Chiesa “Una, Santa, Cattolica e Apostolica” che ha a cuore “quelle realtà locali”, che intorno ai loro Pastori ritrovano il “senso” dell’essere Chiesa, di riunirsi per progettare e per fare discernimento, per analizzare priorità e “linee”, su quelle “tracce” della Chiesa sinodale.
E le prospettive indicate sono davvero “coraggiose” e direi “lungimiranti”, si chiede a quei “rematori” di allenare le braccia: si parla di ministeri, di processi decisionali, di rendiconto e valutazione, di organismi di partecipazione… (DF 66-104 Documento Finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 26 ottobre 2024).
La logica dello “scambio dei doni”, di quella effettiva “cattolicità” di cui, mi sembra il documento sia intriso.
Pastore, equipe sinodali e popolo di Dio per “Crescere come Chiesa sinodale richiede un sapere che si apprende solo attraverso l’esperienza e ci apre una via all’incontro con il Signore” (Tracce n. 1).
Lo abbiamo sperimentato con i lavori sinodali condotti: solo vivendo la “conversazione nello Spirito”, possiamo, con umiltà, metterci in ascolto, dialogare, vagliare, riflettere, e lo Spirito Santo “armonizzerà” e farà convivere “le differenze”, per un “bene” non personale, ma della Chiesa.
Non una “confort zone”, ma un luogo di servizio
Mi pare importante la sottolineatura che compare nella Traccia n.4.1 in materia di discernimento:
“i processi decisionali in merito dovranno essere compiutamente ecclesiali, riconoscendo la peculiare funzione dell’autorità, in particolare dei Vescovi diocesani”.
Credo che sia importante sottolineare questo aspetto che, a mio parere, è sostanziale; ricordiamo che tutti i “processi”, con lo stile del discernimento ecclesiale, non deve farci dimenticare l’importanza della “responsabilità” del pastore delle Diocesi.
Ho avuto già modo di ribadirlo in diverse occasioni: “la Chiesa non è una democrazia” e dico “meno male”: sarebbe troppo “umana” e troppo legata ai meccanismi umani.
La Chiesa non è una “zona comfort” dove mi rifugio convinto che se sono in “maggioranza” vinco: la Chiesa alla quale crediamo è quella Chiesa che è a servizio della Parola di Dio con grande responsabilità per gli uomini e le donne di ogni tempo e con grande responsabilità degli uomini e delle donne di ogni tempo.
Teniamo sempre presente questo: il sinodo non ci chiede di “sovvertire” l’istituzione.
Ci chiede di “stare” nell’istituzione con uno “stile” ecclesiale: quello della sinodalità.
Aggiungerei anche “il Vangelo non è un pensiero: è una persona, Cristo”.
Non è trascurabile.
Non è solo questione di metodo, è questione di contenuto.
Non è “programma” vagliabile o “riducibile”, il Vangelo è “radicalità”, è “Persona”, è “Notizia buona”, non cronaca.
Occorre sempre, a mio parere, tenere presente questo: la Chiesa è quella di Cristo, non quella degli “uomini”.
Amare le Chiesa com’è e come la vorremmo
Non è la “Chiesa che vorrei”, ma la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, la Chiesa della “comunione dei Santi”, la Chiesa della “remissione dei peccati”, che ci accompagna ad attendere la “Risurrezione e la Vita Eterna”.
Mai soli, ma in “cammino” per “sostenere i processi in corso a livello locale, in particolare là dove sono ancora in fase iniziale, stimolando le Chiese locali; favorire il coordinamento e la messa in rete delle équipe sinodali diocesane; offrire formazione, tenendo conto delle proposte di scuole e iniziative di formazione alla sinodalità presenti nei diversi territori; promuovere la riflessione teologica e pastorale” (Tracce 2.3).
Mi pare importante questa sollecitazione: in un tempo di “condivisione” quello che si chiede è la creatività e la relazionalità. Prassi di “comunione” non per “copiare” da altre Diocesi, ma per “fare rete”, per creare quella “perseveranza” di cui si parla in At 4,34: “ogni cosa in comune” , per un autentico rinnovamento della comunione.
Corresponsabilità: non mera opportunità, ma condizione costitutiva

Nella vita cristiana, seguire Cristo nella Chiesa, è perseverare, trovare strade e cammini per la missione, declinarle in esperienze creative e molteplici, provare e riprovare, senza abbattersi o stancarsi, senza sfiducia o “pessimismo”, ma nella gioia della missione.
E se la missione ha più “occhi”, più “orecchie”, “più teste”… allora è una missione “feconda”.
L’umanità della comunità cristiana, delle comunità cristiane che sanno “uscire” per incontrare, per condividere, per formarsi, per celebrare, per pregare, per crescere nella fede.
Aspetti direi “concreti” della vita della Chiesa, di cui tutti sono responsabili, quella corresponsabilità che non è solo collaborazione o servizio, ma è missione, è partecipazione, è impegno, è comunione.
Aspetti concreti che vengono indicati come “importanti” (Tracce n.3.2) spiritualità sinodale; l’effettivo accesso a funzioni di responsabilità e a ruoli di guida che non richiedono il sacramento dell’Ordine da parte di donne e uomini non ordinati, sia Laici e Laiche, sia Consacrate e Consacrati; la sperimentazione di forme di servizio e ministero che rispondano alle esigenze pastorali nei diversi contesti; la pratica del discernimento ecclesiale ; l’attivazione di processi decisionali in stile sinodale; la sperimentazione di forme appropriate di trasparenza, rendiconto e valutazione; l’obbligatorietà nelle Diocesi e nelle Parrocchie degli organismi di partecipazione previsti dal diritto, e il rinnovamento delle loro modalità di funzionamento in chiave sinodale; lo svolgimento regolare di assemblee ecclesiali locali e regionali; la valorizzazione del Sinodo diocesano; il rinnovamento in chiave sinodale missionaria della Parrocchie; la verifica del carattere sinodale dei cammini dell’Iniziazione Cristiana e, in generale, dei percorsi formativi e delle istituzioni ad essi deputate.
Ci aspetta tanto lavoro…
“Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31).
Il lavoro è “tanto”, ma forse vale la pena “svolgerlo”, “iniziarlo”, “proseguirlo” (dipende dai cammini fatti dalle diverse Diocesi), abbiamo un “tempo” (2028 – Assemblea di Valutazione e Assemblea ecclesiale), proviamo a “spenderlo” con amore per la Chiesa, a “spenderlo” bene, ad impegnarci affinchè questi cammini siano davvero una “conversione sinodale” di noi stessi e delle nostre comunità.
Ripensiamo alla “conversione” secondo la logica di Gesù non era quella “conversione” a cui erano abituati i suoi contemporanei (teshuvah) il cambiamento per un ritorno: ci ha chiesto di “convertirci e credere”.
Due azioni “contemporanee”, non un “cambio di rotta”, ma convertirsi credendo.
Di fatto, il suo, è stato un “messaggio performativo”: ci ha chiesto di fare un annuncio che produce fatti e cambia la vita.
La Fede donata è salvezza.
E allora il “cammino sinodale” della Chiesa sarà un cammino sulle tracce della speranza, sui semi del Vangelo, perché è dovere della Chiesa, non solo in cammino sinodale, essere “sinodo”, rintracciare e segnare quelle orme di Cristo affinchè a tutti sia donata la possibilità di percorrerle, ricercare qui “semi” che quel seminatore ha sparso e che sono magari rimasti tra le pietre e tra i rovi, innaffiare quelli che sono caduti sul terreno fertile, curare tutti quei “germogli del Regno” e farlo con lo “stile” che è connaturato, quello dell’essere “insieme”, “assemblea dei convocati” per la missione, affinchè la Chiesa, con l’impegno di tutto il popolo, diventi un “sistema armonico” che con-sente Cristo.
Dobbiamo “camminare insieme come Chiesa” e mai dimenticare che dobbiamo “camminare con Cristo”, in quella “carovana” (synodia) per “seguire la Via, la Verità, la Vita” (cfr. Gv 14,6).
In occasione del decennale della morte dello scrittore Sebastiano Vassalli, premio strega nel 1990 con il romanzo “La Chimera”, il comune di Casalvolone organizza una manifestazione pubblica con la presentazione del volume “Dalle finestre di questa casa” a cura di Sergio Negri, nella frazione Pisnengo, nella casa che fu l’abitazione di Vassalli dal 1983 al 1993.
Saranno presenti la vedova dello scrittore, Paola Todeschino, il direttore di Interlinea Roberto Cicala, il Sindaco di Casalvolone Ezio Piantanida, il curatore Sergio Negri, il ricercatore Claudio Balzaretti.
La manifestazione si svolgerà dalle 11 del 12 luglio alla quale seguirà un rinfresco offerto dall’Associazione “Al Me pais”.
Vi aspettiamo
Ai numerosi disservizi – guasti, ritardi e cancellazioni – degli ultimi mesi, sulla tratta ferroviaria Torino-Milano, si è aggiunto, su molti convogli, il malfunzionamento dell’impianto di condizionamento che, complici le prime ondata di calore, ha reso le carrozze roventi ed invivibili.
Quest’ultima inefficienza, congiuntamente a quella segnalata dai comitati pendolari, inerente l’utilizzo nelle fasce pendolari di vecchio materiale rotabile al posto dei moderni treni Rock, che ha determinato situazioni di sovraffollamento con alte temperature all’interno dei convogli e condizioni insostenibili, sono state alla base dell’interrogazione urgente del Capogruppo di Fratelli d’Italia, Carlo Riva Vercellotti, all’assessore ai Trasporti della Regione Piemonte, Marco Gabusi.
Il Capogruppo di Fdi in seguito alla risposta di Trenitalia, ha dichiarato:
“La risposta ricevuta da Trenitalia, è inaccettabile. Ai già numerosi disagi che quotidianamente subiscono i pendolari della Torino-Milano si aggiungono il sovraffollamento e l’assenza di aria condizionata a rendere i convogli invivibili”.
“Non possiamo accettare la risposta di Trenitalia che non è entrata nel merito dei problemi sollevati, ma li ha anzi elusi. La rappresentazione della realtà fatta dall’azienda è di gran lunga differente da quella dei comitati dei pendolari. La principale lamentela sollevata dai pendolari è inerente ai treni circolanti i cosiddetti ‘Media Distanza’, vecchi ed inadeguati sotto tutti i profili. Chi ogni giorno prende il treno per ragioni di studio o di lavoro merita di poter viaggiare in condizioni umane e non su convogli che diventano saune a causa delle elevate temperature” .
Ieri, 9 luglio 2025, i Carabinieri di Vercelli e Borgosesia hanno avuto il piacere di portare gli auguri al Maresciallo Maggiore Aiutante Antonio Maria Ledda in occasione del suo 103° compleanno.
Un evento che ha assunto il significato di un vero e proprio viaggio nel tempo, celebrando la lunga carriera di un uomo che ha dedicato la propria vita all’Arma dei Carabinieri.
Nato nel 1922 a Siligo, in Sardegna, il Maresciallo Ledda è entrato nell’Arma nel 1940 e ha attraversato momenti storici di grande rilevanza, tra cui la Seconda Guerra Mondiale, vivendo direttamente le difficoltà del periodo bellico.
Dopo queste esperienze, ha prestato servizio in diverse regioni italiane, tra cui la sua terra natale, il Piemonte e la Capitale, dove ha lavorato presso il Comando Carabinieri Presidenziale al Quirinale, un incarico di particolare rilievo e prestigio.
Prima del suo congedo, avvenuto il 30 giugno 1978, il Maresciallo Ledda ha guidato con dedizione e competenza la Stazione Carabinieri di Varallo Sesia per sei anni, lasciando un’impronta indelebile nella comunità locale. Durante la visita, i Carabinieri in servizio e i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Carabinieri locale hanno trascorso un lungo momento con il festeggiato e i familiari, ascoltando con attenzione le sue testimonianze: storie che oggi rischiano di perdersi o di essere conosciute solo superficialmente, ma che grazie alla memoria viva e lucida del Maresciallo Ledda vengono trasmesse con passione e autenticità alla famiglia.
Il momento toccante è stato l’aver ricevuto una lettera autografa inviata dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale di Corpo d’Armata Salvatore Luongo, che ha voluto così esprimere il proprio personale e istituzionale riconoscimento unitamente ad un piccolo dono rappresentativo della storia dell’Arma; lettera che il Maresciallo ha voluto leggere ad alta voce a tutti i presenti.

Questo incontro non è stato solo una festa privata, ma un’occasione di riflessione e gratitudine verso chi, come il Maresciallo Ledda, ha contribuito a scrivere la storia della sicurezza e della legalità.














