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Serravalle Sesia in festa per il centenario del Gruppo Alpini.

Ai festeggiamenti, partiti dal mattino di ieri, domenica 13 luglio, hanno partecipato numerosi Gruppi Alpini provenienti dai paesi limitrofi.

Primo appuntamento l’Ammassamento per la registrazione dei Gagliardetti in Piazza Libertà, a seguire l’alza bandiera e il corteo, accompagnato dalla Fanfara Taurinense.

Il corteo ha sfilato con al seguito anche i famigliari degli “alpini andati avanti” e ha raggiunto il Monumento dei Caduti in Piazza 1° Maggio e il Monumento Alpini S. Euseo dove sono state deposte le corone.

La Santa Messa presso la Chiesa Parrocchiale San Giovanni Battista è stata molto partecipata.

Successivamente in Piazza Libertà si è svolta la cerimonia delle consegne delle targhe, il Carosello della Fanfara Taurinense e l’ammaina bandiera.

I festeggiamenti si sono conclusi con il pranzo presso il Ristorante Monterosa di Serravalle Sesia per condividere una giornata ricca di emozioni.

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Redazione di Vercelli

Posted in Società e Costume
Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Dt 30, 10-14

Dal libro del Deuteronomio.

Mosè parlò al popolo dicendo:
“Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.

Sal 18

RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.

RIT: I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

Col 1, 15-20

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.

Lc 10, 25-37

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”.
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

Il testo della prima lettura dal libro del Deuteronomio, è l’ultimo dei testi attribuiti a Mosè.

Il popolo è in esilio, ma Mosè, ripercorre le tappe: osservazione di comandi e decreti, conversione, adesione con la mente e con il cuore.

Con il Deuteronomio si conclude la Torah del popolo ebraico.

Un messaggio di speranza, non distante, oltre il cielo o il mare, ma “vicino” tale da essere udito e “possibile”.

Obbedienza non come “atto di volontà”, ma come “conversione”.

Una legge “giusta” e “pensata”, non esterna all’uomo, ma “umanizzante”: legge di Dio ma “liberante” per l’uomo, esigenza “del cuore”.

Ma non ancora più importante, non è solo una “legge lontana” dall’uomo, è parola, non solo comandamento: questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.

Siamo nell’evoluzione della logica del “comandamento”: non più le “singole parole” (parole del Decalogo), ma la parola che viene da Dio per coloro che Lui ama.

Una parola d’Amore.

Una parola che traduciamo in “fare la volontà di Dio”.

Uno “stravolgimento” della logica vetero – testamentaria.

Il cammino del popolo di Israele si è accompagnato alla promessa dell’alleanza, alla promessa di salvezza ed  all’osservanza della legge donata da Dio al popolo.

Ecco la nuova “logica”: Dio deve intervenire per il popolo in esilio non con la legge, seppur giusta, che deve essere osservata, ma con una “legge” che  entri “nel cuore” del popolo per aiutarlo a vivere nella fedeltà nella giustizia e nella fraternità.

La “legge” nel cuore che non si limita alle “cose da fare o evitare”, ma che mi libera, mi insegna il rispetto dell’uomo, della sua dignità.

Relazione d’amore e di fedeltà che è “impegno” dell’uomo e promessa di Dio.

Relazione e promessa che ci sostiene nel “passaggio” da quella “legge” scolpita nella pietra a quella “legge scolpita nel cuore”.

E quella “legge” come diventa “azione”? (Vangelo).

Gesù è in cammino verso Gerusalemme (capitolo precedente del Vangelo di Luca) lascia il villaggio dei Samaritani e trova un altro alloggio.

E si incammina, e guarda, allarga lo sguardo su quella strada romana che da Gerico conduce a Gerusalemme…30 Km in un paesaggio montuoso e desertico…

Ancora una domanda di un dottore, di un esperto, che suscita quella “visione di Gesù sul mondo e sulla vita” (parabola nei Vangeli a differenza dei testi in uso in Israele).

Ma soprattutto una domanda: la domanda dell’uomo, sull’uomo.

Non è racconto di “cronaca”, una catechesi, un insegnamento.

“Ed ecco”: Il discorso del Vangelo viene interrotto…  Gesù nei versetti precedenti stava spiegando, non ha terminato, ma viene interrotto da un dottore della Legge.

L’uomo è subito presentato con il suo “titolo” di studio: uno importante, un giurista (nomikós).

Questo esperto della Toràh e della sua tradizione in Israele vuole mettere alla prova Gesù, vuole verificare la sua conoscenza scritturistica e la sua fedeltà o meno alla tradizione.

Per metterlo alla prova”: l’ orginale del Vangelo greco dovrebbe essere tradotto con “per tentarlo” (usato da san Luca solo 2 volte, in questo brano e una nelle tentazioni nel deserto con la stessa parola il sostantivo greco peirasmos , appunto prova).

Il discorso diretto inizia riconoscendo a Gesù il titolo di “maestro” (didáskale) e l’attenzione è rivolta a ciò che è “contenuto nella legge”.

Che fare per ereditare la vita eterna?.

Ereditare la vita eterna: eredità è parola che viene utilizzata da San Luca con kleronomeo, cioè un bene che “non si merita” ma “si  riceve”.

Gesù gli risponde con una contro-domanda: “Che cosa sta scritto nella Legge? Ancora meglio: “Come leggi?”, cercando in questo modo di portarlo a esprimersi in prima persona.

Gesù è abile maestro, lo fa avvicinandosi all’esperienza di quell’uomo e quindi gli chiede che cosa dice la legge visto che lui la conosce bene, sottolineando che forse la “legge” da sola non basta.

Ovviamente la risposta che “il dottore della legge” formula, è giusta, perfetta: il dottore della legge conosce la legge.

E il discorso si fa incalzante, passa alla “questione del prossimo e della prossimità” e lo sappiamo molto bene qual era la definizione di “prossimo” in Israele.

La questione, in realtà si presenta come ancora più “sottile” perché il “dottore della legge” chiede a Gesù: “chi merita di essere amato”.

Ed a questo punto, Gesù “entra nel vivo”, e lo fa con quella “parabola”, con quello “sguardo” che le è proprio, con quella “visione sulla vita” che saprà “aprire gli occhi” a chiunque vorrà “affinare lo sguardo”, a tutti coloro che “vorranno allargare lo sguardo per provare a guardare come guarda Gesù”.

La parabola la conosciamo tutti e le parole per spiegarla sono tante e tante ne sono state impiegate per fornire una comprensione legata alla esegesi, alle implicazioni, alle logiche…

Una parabola di un uomo per l’uomo.

Un “tale” che incontra un tale che si è “imbattuto” in altri tali…

L’umanità nelle sue molteplici sfaccettature.

Mi piace chiamarla la “parabola dei nuovi comandamenti”, perché si conclude con quei verbi che ci raccontano Dio e l’uomo.

Ci raccontano i “nuovi comandamenti di Gesù”, maestro di misericordia.

Quell’uomo che passa da quella strada “osserva, guarda e cammina” e mentre “vede”, ama.

E mentre ama, fa tutto quello che può…

Usa l’ “amore intelligente”, si ferma, si china, pulisce e cura le ferite, lo carica (meglio, lo solleva) sulla cavalcatura, lo porta, lo conduce, lo affida, si raccomanda, ritorna.

E quell’amore-compassione diventa misericordia, diventa l’amore “viscerale”, diventa amore dono totale… diventa “Và e anche tu fa’ così”, diventa fa’ misericordia, volgiti intorno, osserva, cammina, guarda bene, con discernimento, avvicinati, fatti prossimo, senti una “compassione viscerale”, fatti “scuotere” dall’umano, diventa “umano” e fa’ misericordia, prenderti cura del bisognoso, anzi, “prenditi cura dell’uomo”…

Non esiste il prossimo “ideale”, tutti siamo “prossimi” e tutti possiamo farci ed essere “prossimi”.

Prossimo è colui che io decido di rendere vicino, colui che mi rende “misericordioso”, misericors è da misereor e cor -cordis (cuore), colui che faccio avvicinare al mio cuore.

Il Samaritano non è prossimo, si “fa prossimo”.

Diventa una “persona che ama”.

Possiamo tutti “essere prossimi” diventando “persone che amano”.

E quei verbi-comandamenti diventano la “grammatica” della compassione di Gesù, e quei verbi “agiti” dicono chi siamo…

Essere cristiano è andare “oltre la necessita’”, è andare “oltre”: “te lo rifondero’… al mio ritorno…” un compito per noi… e Lui rifonderà.

Gesù ci affida il compito di mettere di più, di mettere di noi, di metterci in azione, con gli altri.

Abbiamo sempre bisogno di Dio che si fa nostro prossimo, per poter diventare a nostra volta prossimi

Dio stesso, che per noi è lo straniero, il lontano, si è incamminato per venire a prendersi cura della sua creatura ferita.

Dio, il lontano, in Gesù Cristo si è fatto prossimo” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth pag.238).

Solo “facendoci prossimi” sapremo vivere in modo “giusto” in un “mondo giusto”, impareremo ad amare “in modo giusto”.

La risposta allora sarà: Amiamoci come Dio ci ha amato e vivremo nella bellezza, nella giustizia, nell’ Amore.

Riecheggia quell’amore-beatitudine che Luca ci ha presentato al capitolo 6.

Riecheggia quel “chinarsi” sull’altro, sulle sofferenze e sulle fragilità, sulle gioie per condividerle, sui silenzi per accoglierli, sulle parole per ascoltarle…sulla “persona”, chiunque essa sia, con qualsiasi caratteristica si presenti.

Riecheggia quel “commuoversi” che non si “ferma alla commozione”, allo scuotimento delle viscere”, ma che mi sollecita, muove alla compassione, muove all’ azione, muove l’ “io” verso il “tu”, il “me stesso” verso l’ “altro”, facendomi diventare “capace” di amare.

E l’amore, “trasforma”, mi rende “umano”, mi fa agire da cristiano.

Perché il cristiano è la persona dell’amore, è la persona dell’azione per amore, il cristiano non si ferma solo a guardare la sofferenza dell’altro, la “fa sua”, la “solleva”, la “porta”, la “affida”, si “prende cura” e non “abbandona”.

E fa camminare… “venite, benedetti…”.

Azione e cammino, perché chi “agisce”, non “subisce”, si “muove”, cammina…

Cammina, guidato su quei “pascoli erbosi”, “guidato”, perché a lui “nulla mancherà”, basterà l’Amore di Dio, basterà donare con gioia, non per “dovere”, ma per amore.

E allora anche noi “andiamo e facciamo lo stesso”.

E possiamo lodare (Salmo 18/19) Dio creatore per amore, che ci ha lasciato il “messaggio”: Dio ha creato le meraviglie dell’amore, nella natura e nell’uomo, la Parola rivelazione di Dio.

La “legge”, La Parola che “illumina” come il sole e la luce, la vita dell’uomo.

La Parola, il Logos che è Amore che ci ha insegnato ad amare.

La Parola “legge del Signore che illumina gli occhi”, quella “meraviglia” fatta carne (seconda lettura), quel Logos incarnato che diventa “mediatore” della creazione che ha riconciliato, con il suo sangue, tutta l’umanità con Dio.

Cristo è immagine del “Dio invisibile”, primogenito di tutta la creazione, del Dio-Amore che ci insegna l’Amore chinandosi sull’uomo.

Il Dio-Amore che dona e il Figlio-Amore donato che si dona e dona l’Amore.

E l’uomo “impara” ad amare, fatto ad “immagine e somiglianza” dell’Amore, agisce con amore, prova ad amare, cammina nell’amore…

Impara da quell’ “olio e vino versato”, da quelle “ferite fasciate”, da quel corpo “sollevato sopra la cavalcatura”, da quella “cura”, da quei “denari versati”, da quel “denaro rimborsato”…

Impara l’Amore.

Impara a “scendere dalla sua cavalcatura” per avvicinarsi in modo autentico a chi è sul ciglio della strada, impara a essere prossimo, a farsi prossimo, a diventare prossimo, perché amato e amante.

Impara ad essere “icona di Dio”, immagine dell’Amore.

Impara ad essere discepolo.

Impara ad essere colui che per “compassione”, “muove la propria vita” nell’amore.

Impara a non “rinchiudere” il prossimo in una definizione, perché “prossimo” siamo noi; siamo noi quando ci avviciniamo e siamo avvicinati, quando ci chiniamo e siamo oggetto di cura, quando impariamo a guardare ed agire, con gli occhi, il cuore e le mani di Cristo.

 

Posted in Pagine di Fede
Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Is 66, 10-14

Dal libro del profeta Isaia.

Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
“Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi”.

Sal 65

RIT: Acclamate Dio, voi tutti della terra.

Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: “Terribili sono le tue opere!”.

  RIT: Acclamate Dio, voi tutti della terra.

“A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome”.
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.

  RIT: Acclamate Dio, voi tutti della terra.

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.

  RIT: Acclamate Dio, voi tutti della terra.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.

  RIT: Acclamate Dio, voi tutti della terra.

Gal 6, 14-18

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati.

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Lc 10, 1-12. 17-20

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città”.
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Egli disse loro: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

Rallegratevi (prima lettura): la gioia.

Ricomparirà ancora nei Vangeli, questo saluto.

Il saluto della gioia, il saluto della pace, il saluto di Dio.

La terza parte del profeta Isaia, probabilmente composta dopo il ritorno dall’esilio a Gerusalemme, è una raccolta di oracoli.

“Rallegrateviesultatesfavillate di gioia…” del resto, se dobbiamo descrivere la gioia, questi sono i verbi: la gioia che mi fa “saltare”, che mi “illumina”, che “non posso trattenere”.

E Dio promette: trasformerò tutto in gioia, in “salto”, in “luce”, in “incontenibile fermento”.

Condizione essenziale: amare.

Solo chi ama è nella gioia.

E solo chi ama saprà “sopportare” il lutto, quello dell’esilio, quello di essere insieme, anche nel dolore, oltre che nella gioia.

Gioia come pace, come “agire di Dio”.

E al versetto 13: “come una madre consola un figlio, così io vi consolerò: Dio Padre e Madre.

Figli amati  e consolati.

Cura per il bene.

Gioia profonda, che nasce dalla bellezza e certezza di sentirsi amati.

Dio nutre e consola.

In ebraico il verbo consolare, viene tradotto da nhm”, non una sola parola o azione, ma un susseguirsi di azioni: accarezzare, sostenere, abbracciare, nutrire, accudire…

Dio “accudisce” e “custodisce” con il suo cuore tenero e paziente, con il suo cuore grande e accogliente, con il suo “Essere” per l’uomo.

Un Dio che non “fa tremare”, ma che “sa abbracciare”.

Un Dio che “accoglie”, ma “manda” (Vangelo).

Andate” e “Portate la pace”.

Ma “andate come agnelli”, dunque con umiltà e mansuetudine…

Che bel paragone… quelle pecore guidate e abbracciate dal Pastore, hanno imparato la “cura” e vanno… agnelli, docili, obbedienti, non come “lupi”, non come “lupi travestiti da agnelli”, come agnelli che hanno come modello l’Agnello.

Nel capitolo 10 l’evangelista Luca, riprende il discorso della “missione” (che aveva già affrontato al capitolo 9), evidentemente, tale concetto, riveste un ruolo importante.

Intanto Gesù aveva una “missione”, la affida agli apostoli e anche ai discepoli.

A tutti, anche dopo di loro.

Importante questo “invio”, perché Gesù è preciso: il “mandato” non è “monopolio” solo degli apostoli, è di “tutti”.

Si tratta di un “mandato” che non è “delegabile” ad altri: è personale e non si tratta solo di “numeri” (12-70-72; vogliamo ricordarlo: 12 è il numero delle tribù di Israele, e 72  è il numero che designa tutte le nazioni pagane), ma di una “missione totale”.

Ora sono 72… “mandati… inviati”  usiamo l’etimologia greca e latina).

Inviati e mandati… ai fratelli… non da soli.

Se non siamo “fratelli” non siamo neppure “figli” e Gesù “manda insieme”.

Siamo figli amati ed inviati…

Ed abbiamo indicazioni “precise”: “non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa”.

Indicazioni per “tutti i tempi”: senza accessori, solo “voi stessi”, con la vostra autenticità di cristiani, senza “fronzoli” o “cose inutili”, ma neppure le cose che apparentemente sono “utili”… cristiani veri che sanno di essere portatori della Parola.

Come “agnelli”, in “povertà”, perché se così non siamo, diventiamo “lupi”, la ricchezza crea avidità e sterilità, mentre per essere missionari, occorre riconoscere di essere poveri per donare ciò che si è ricevuto, occorre essere umili per accettare di “essere bisognosi” di tutti, di essere accolti, sfamati, dissetati.

E portate la pace.

Quella pace che sarà prerogativa e dono del Cristo Risorto.

L’anticipo della Risurrezione nel “mandato” alla missione.

Basta la vita, la vita in Cristo, perchè la vera missione è annunciare Cristo e la sua pace.

Gesù “Inviato” (dal Padre), “invia”.

Si deve pur considerare, nell’invio e nella conseguente missione, di poter essere “rifiutati”, anche Gesù è stato “rifiutato”, ma come “agnello”, anche se rifiutato, non “rifiuto”, accetto, accolgo, la libertà degli altri di non accettare la missione… vado, lascio, ma sono “entrato” nella tua casa, ho dimorato, ti ho portato quell’amore, pur non hai accolto e che non viene meno.

Aveva iniziato con “dopo queste cose…”, non è un semplice avvio scelto dall’evangelista, ha un profondo significato, Gesù si avvia verso Gerusalemme, consapevole che darà la vita per il mondo, per chi lo rifiuterà, non seguirà il “consiglio” degli apostoli, di “invocare la punizione dal cielo”.

E gli “agnelli” sanno che devo andare in missione “con amore”, non “per se stessi”, è fallimentare da subito, non “imponendo”, ma pro-ponendo.

Se non sappiamo amare Dio non sappiamo “andare a portare il suo amore” e porteremo solo “noi stessi”, solo il nostro desiderio di affermazione, di soddisfazione, l’egoismo che ci fa sentire importanti e necessari, il “dominio” che ci fa sentire necessari e superiori, ma che “annienta” l’altro.

Questa non è la “missione” alla quale Gesù invia.

C’è un rischio di fondo, ecco perché Gesù “designa” alla missione (ricordiamo che solo Mattia apostolo che ha sostituito Giuda Iscariota è stato “designato”, tutti gli apostoli sono stati “chiamati” da Gesù).

Tutti siamo “designati” alla missione, perché sul “modello” impariamo a conformarci a Gesù “inviato” dal Padre.

In quel numero (72) ci siamo tutti, ci siamo noi, “designati” universalmente alla missione, per la “missione universale”.

La missione è storia di Amore, è storia di responsabilità, è storia di un Dio Padre che chiama i figli ad essere fratelli.

In città, meglio, in “ogni città”, ed “in casa”.

Ovunque, testimoni missionari con la vita, nel pubblico (città) e nel privato (casa).

Coerenti missionari inviati per Cristo, in Cristo.

Ovunque, perché la “messe è molta” e se la messe rimane nei campi, marcisce.

Se la messe non viene “raccolta”, diventa “inutile”, “sprecata”.

Ovunque, perché figli e fratelli non possono non “andare” e “raccogliere”.

Ovunque, perché il mondo, le persone, devono essere “accolte” e “raccolte” per vivere da figli e  fratelli, quella salvezza.

“Come operai”: Gesù è stato il primo operaio, non siamo la sua “squadra” di lavoro.

Squadra “imperfetta” e “peccatrice”, ma che “prega il Signore della messe”.

La preghiera di intercessione, incessante.

La preghiera incessante per gli altri, ma soprattutto per noi, per essere “liberati” dall’egosimo e dalle nostre umane contraddizioni, per essere “missionari”, per imparare che se non sono “fratello”, non posso riconoscere di avere una missione: “riconoscermi figlio con un Padre che mi ama e riconoscermi figlio con dei fratelli da amare”.

Viviamo la nostra “missione nell’amore”.

Il “regno di Dio” è la cura per i “bisogni dell’umanità”: questo è l’annuncio rivoluzionario dei missionari – inviati.

Il Dio di Gesù è il Dio dell’Amore, il Dio-Amore.

Questa è la vera missione.

E con questo “Amore”, possiamo attraversare il “branco di lupi”, anche se siamo “agnelli”.

Con questo Amore possiamo  costruire umanità, con la semplicità e l’umiltà di essere “portatori” non del nostro amore, ma di quell’Amore incommensurabile che ci rende “agnelli coraggiosi”. Perché siamo “cauti” e “titubanti”?

Gesù ci chiede di essere coraggiosi e intrepidi, non incauti, il Vangelo è l’annuncio di quella pace del Dio “incarnato”.

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At 12, 1-11

Dagli Atti degli apostoli

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Àzzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.

Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere.

Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione.

Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui.

Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».

Sal. 33

RIT: Il Signore mi ha liberato da ogni paura.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

  RIT: Il Signore mi ha liberato da ogni paura.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

  RIT: Il Signore mi ha liberato da ogni paura.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

  RIT: Il Signore mi ha liberato da ogni paura.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

  RIT: Il Signore mi ha liberato da ogni paura.

2 Tm 4,6-8.17.18

Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo.

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Mt 16, 13-19

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

La diffusione del Vangelo crea tensioni, procura morte e gli apostoli rimasti si allontanano da Gerusalemme (prima lettura).

L’inizio della Chiesa di Cristo ha un avvio difficoltoso.

Ostilità alla Chiesa .

Divisioni, partenze, persecuzioni… ma Pietro non “fugge”, “passa le consegne”: inizieranno i viaggi missionari, gli apostoli  non saranno “sostituiti”, compariranno i Vescovi… la Parola sarà diffusa…

La Chiesa – comunità si diffonde, oltre la città, oltre i luoghi, oltre gli “spazi”… nella fraternità e nella comunione.

La Chiesa del cristianesimo universale, che supera i confini e si apre a tutti.

La Chiesa dei figli amati, la Chiesa dei “mandati”, la Chiesa degli uomini liberi che si riconoscono figli e fratelli e “partono”.

Pietro viene arrestato, ma la comunità gli è vicino, “prega per lui”.

Prigione, catene, porte, soldati… destino “segnato”…

Come in quella tomba dopo la crocefissione…

Soldati, angelo, luce, e quel colpo al fianco: “colpito il fianco di Pietro, lo svegliò” …

Era necessario quel “colpo” per “svegliare” Pietro.

Lo svegliò”, meglio lo “risollevò”,  è la stessa parola “egeiro usata per la risurrezione di Cristo.

Si alza, Pietro, “risorge”, si “mette in piedi”, e le catene gli cadono dalle mani…

Liberato…

Era già successo una volta, ma qui è ancora più difficile, più porte, più soldati, più catene…

Eppure libero e quel “cingiti”, come Cristo in quella cena, come quegli ebrei prima della partenza, “legati i sandali” vai… sei “libero e mandato”.

In strada… e l’angelo parte…

Missione compiuta.

Il “passaggio” di Pietro è la sua “pasqua”, come quella degli ebrei, come quella di Gesù.

Uomo nuovo.

La pasqua che farà comprendere a Pietro il “passaggio” dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, che farà “sperimentare” a Pietro, Cristo, la vita, la missione, l’annuncio.

Pietro “risorto” è “uomo nuovo”,

Consapevolezza:rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva»”.

Il Signore ha mandato, perché anche io “vada” e “mandi”.

Esce e percorre la strada…

Quella della missione, dell’annuncio, del Vangelo.

Quella che lo porterà a Roma, quella del martirio, quella della vita.

Pietro è “uscito”… ci ha messo un po’ ad “uscire”, ma ora cammina ed è “testimone”, come era stato chiesto da Gesù.

Testimone di quelle parole in risposta a quella domanda: “Ma voi chi dite che io sia?” (Vangelo)

L’atteso, il Cristo, il Salvatore.

Tutto in uno.

Centro della fede cristiana.

Fondamento della fede e della Chiesa.

E Pietro non sbaglia.

Tutto qui, ma tutt’altro che semplice…

Ci hanno provato in molti…

In zona pagana (Cesarea di Filippi) Gesù pone la “questione”,

Di solito siamo noi che “domandiamo a Dio”, qui Gesù “domanda” all’uomo.

All’uomo “lontano” dal “centro della fede” (Gerusalemme), Gesù chiede… non per mera “curiosità”, ma per “ascoltare” le risposte, per “dialogare” con l’uomo.

Giovanni Battista, Elia, Geremia, profeti… di tutto di più…

“Ma voi…”

“Ma tu…”

Non era una “domanda” per rispondere ad una “crisi di identità” di Gesù, non era una domanda a causa di “fame e stanchezza”, era una domanda “autentica”, una “domanda per l’uomo”, a quegli uomini che lo hanno incontrato (folla, gente), ma a quelli che hanno “vissuto” con Lui, che lo hanno “conosciuto”, che dovrebbero essere stati “trasformati”.

Gesù non vuole “risposte ovvie”, vuole la “mia risposta”, vuole le “risposte” “vissute e sperimentate”.

La “risposta “ della fede, della “vita in Cristo”, della vita “sperimentata in Lui”.

E Pietro risponde.

Non a “nome di tutti”.

Risponde lui.

Tu sei il Cristo”.

Ma prosegue: “Tu sei i Figlio di Dio vivente”.

“Cristo”, non è il “nome”.

Sei attesa e speranza.

Speranza, attesa, di salvezza.

Sei qui.

Sei promessa di Dio mantenuta.

Sei Dio.

Sei Dio vivente: vero uomo, vero Dio.

Fede di Pietro, fede della Chiesa.

Lo capirà poi Pietro…  ma intanto dà una “risposta di amore”.

Rinnegherà, vorrà una “spiegazione”, non ha ancora ben “afferrato”, ma con questa risposta Pietro “ama”.

Lo chiamerà “felice” Gesù (beato) perché Pietro è “sulla strada dell’amore” e solo l’amore ha la forza per comprendere l’Amore.

La comprensione non è “umana”, sarà dello Spirito Santo, e irradierà quell’Amore che aiuterà a credere.

Pietro ha “riconosciuto” in Gesù l’Amore, quell’amore che farà “felici”, “beati”… coloro che sono misericordiosi, coloro che avranno fame e sete di giustizia, solo che saranno perseguitati…

Il dono della fede.

Fede che renderà felici, che farà “ri-conoscere” Dio.

Pietro che ci ha “introdotto” sulla strada… “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente”…

Ecco a Pietro il compito…

Legare e sciogliere”: occorre riferire, per comprendere la “logica” nella quale è stata pronunciata la frase, cioè la “logica rabbinica” e dunque quella giuridica.

A Pietro il compito di “avere le chiavi” dell’interpretazione, dell’autorevolezza e autorità per definire la “verità” della “Verità”, il “servizio nella fede”.

A Pietro il “compito” di “confermare” con autorità nella Chiesa, e nella “conformità” alla fede e dunque “servizio” alla “comunità” ed alla “unità”.

Servizio della fede e nella fede, nella speranza e nella carità, nella Chiesa.

Molto bella la parola “autorità”, ancora meglio di “primato” (come di solito si usa per indicare la logica di questo brano definito il “primato di Pietro”).

Deriva da augere (latino), che “promuove”, che “aiuta”, che “fa crescere”.

Il dizionario De Mauro, individua 1274 accezioni per il termine in uso.

Mi piace particolarmente, in questo caso, la parola “auctor” come “colui che fa crescere”: ecco Pietro è colui che fa crescere, che accompagna nella crescita della fede.

Non è solo prestigio, legittimazione o potere, è “servizio” alla libertà ed alla responsabilità, è accompagnamento al “discernimento”.

Pietro e dunque i suoi successori, saranno “pietra”, fondamento di quella “Chiesa” assemblea (eklesìa) “convocata” e “scelta”, comunità che guida al Regno di Dio (e dunque è “tramite”), che “lega e scioglie”, che perdona e unisce.

Chiesa con i successori di Pietro che guida e conduce a quel “riconoscimento” di Gesù il Cristo, il Dio, che salva, che orienta “ Convertitevi, il Regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2) secondo quel “mandato” :

Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino (énghiken)”(Mt 10,7).

E San Paolo, al termine della sua “missione”, scrivendo a Timoteo (seconda lettura) dirà : “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede…
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero”.

Proprio come un “combattente” leale e sincero, per il Vangelo, con una fede “mantenuta”, conservata, donata ed accresciuta.

L’annuncio del Vangelo in ogni condizione e circostanza.

Pietro e Paolo, insieme a Roma: il pescatore  che guiderà gli uomini ed il viaggiatore instancabile per il Vangelo.

Quella “roccia” che è coraggio, generosità, fede, certezza…

Ma anche un “piccolo sasso”, che seppur piccolo, è sostegno, è “base”, è “riferimento” non solo per un singolo, ma per tutto.

L’ “uomo sasso”, forte anche se piccolo, la Chiesa “roccia”, salda e certa.

 

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Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

 

Gn 14, 18-20

Dal libro della Genesi.

In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.

Sal 109

RIT: Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».

  RIT: Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!

  RIT: Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato.

  RIT: Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek».

  RIT: Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

1 Cor 11, 23-26

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Lc 9, 11-17

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

Siamo al capitolo 14, la parte del libro della Genesi nella quale sono presentati i patriarchi e “compare” la figura di Melchìsedek, re di Salem.

Chi era costui?

Appare così, in modo “inaspettato”, eppure ci racconta un gesto di grande generosità.

Abram è di ritorno dall’Egitto, dopo una carestia, torna, incontra quattro re orientali predatori, il nipote Lot viene rapito e “Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo” (v. 18).

Salem  è  una città stato della terra di Canaan, il cui nome viene tradotto con “paese di pace”;  una città e Melchisedek è sacerdote del Dio Altissimo “El elion” e benedice Abram in nome del “Dio Altissimo”, ma non offre a Dio pane e vino, lo offre ad Abram ed ai suoi uomini affaticati, stanchi, in difficoltà, in un atto di generosità e pietà, di misericordia e compassione.

Il Dio di Melchìsedek viene identificato da Abram con Yhwh e dunque, riconosce, in quella “benedizione sacerdotale”, quell’alleanza stipulata con Lui, il Dio che a lui si è rivelato, e quel gesto inaspettato di quel sacerdote, diventa ancora una volta, il realizzarsi della promessa di Dio per il suo popolo, invocato nel momento del bisogno.

Moltissime sono le diverse interpretazioni di questa “parentesi” biblica legate a questo sacerdote (ad esempio la figura di Melchisedek, in quanto re e sacerdote, può essere letta come immagine simbolica di quanti hanno ricevuto il sacramento del Battesimo, oppure essendo un sacerdote pagano, può essere interpretato come  apertura al culto diede Dio Altissimo a nazioni. Qualcuno ha anche azzardato la prefigurazione del messaggio eucaristico del Nuovo Testamento in quei doni).

Non passa inosservata la figura di questo sacerdote, il Salmo 109, riprenderà il suo ricordo:

“Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek”.

Per sempre: l’eternità.

E la lettera agli Ebrei che dirà:

era senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre” (Eb 7, 3).

Innegabile sicuramente il “sacerdozio” regale dei battezzati che ha preso “sostanza” nei documenti della Chiesa  nei secoli successivi.

Allora la figura di Melchisedek è “prefigurazione” di Cristo.

Non importa se Gesù non apparteneva alla genealogia dei sacerdoti levitici, discendente della tribù di Giuda, sarà “sacerdote in eterno”.

Un cambio di prospettiva rispetto ai “sacerdoti” che conoscevano gli ebrei: uomini a beneficio degli uomini (cfr.Lv 1-3; Nm  15,1-16).

Egli sarà, ma “costituito” come avverrà per Aronne, “designato” e Cristo sarà “sacerdote” designato dal Padre, dalla stessa Incarnazione.

Cristo, Figlio di Dio, partecipe della natura umana, generato, Incarnato, vero Dio e vero uomo.

Sacerdote nuovo ed eterno che compie le attese messianiche: pienezza della mediazione  salvifica.

Realizzazione definitiva dell’alleanza.

Un Dio vicino e attento, un Dio che ha compassione, che annuncia e si preoccupa.

Un Dio – uomo vicino all’uomo, in quel deserto della zona di Betsaida.

Un Dio tra la folla che ha ascoltato, che è stanca che si appresta alla sera…

E gli apostoli con lui… è tempo di “congedare”, “viene la sera”, “sono stanchi”…

“Congedare”… “lasciare”…

No, Gesù non “lascia”, né “congeda”.

“Rilancia”: “date voi da mangiare”.

Facilissimo eliminare ogni preoccupazione, con l’apparente necessità di “far tornare”, con la “scusa” del “luogo deserto”… apostoli di ieri e di oggi… “laviamoci la coscienza”…

L’uomo che non “vede soluzioni”… male minore, bene superiore…

No, Gesù è per il “bene possibile”.

Gesù “richiama” e “ordina”.

Gesù vuole “trasformare” il deserto in una mensa accogliente.

“Date” “voi”.

Semplice e diretto.

Eppure ancora una scusa… “Non abbiamo che cinque pani e due pesci”.

Ma Gesù prosegue…

“Fateli sedere”.

Che bella questa premura di Gesù. Sono stanchi e affamati e io non li mando via.

Come vorrei essere stata tra quei “cinquemila”.

Non erano solo “uomini”, erano “persone”.

Affamati e stanche e Gesù li fa sedere e invita al coraggio, al dono…

Gesù non si fa solo “dono”, invita a “donarsi”: “Date loro voi stessi da mangiare”.

Seduti, a gruppi, nessuno escluso, guardandosi in volto, fissandosi negli occhi… in quel cerchio che crea comunione e condivisione.

Come avrei voluto sedermi su quell’erba, “insieme”…

Eppure ancora oggi siamo “soli”, “congedati” e “salutati”…

Solo Gesù non “manda via”.

Bello il miracolo, la “moltiplicazione” oltre la “divisione”, ma preferisco l’ “addizione” alla “sottrazione”.

“Insieme”, come gli addendi di quella “addizione” che non “manda via”, che non “liquida”, che nasce dalla compassione, che nasce dallo sguardo di Gesù su quella “folla”, su quelle “persone”.

Addizione che unisce, moltiplicazione che si fa “dono”.

E tutti mangiarono a sazietà…”

Infinito dono.

Infinita compassione.

Infinita misericordia.

Dalla preghiera…

Gesù benedice, spezza, si volge e ri-volge gli occhi al Padre.

Eucaristia.

Comunione, dono e preghiera.

E noi come quella folla… “mandiamo a casa”…

Eucaristia.

Dono e preghiera…

E noi spesso dimentichiamo che questa è la vita della Chiesa.

Eucaristia.

Non è un “accessorio” nella vita cristiana, è “centro e culmine”.

Tutti mangiarono a sazietà”.

“Tutti”.

Cinquemila…

Cibo in quella sera… pane eucaristico per noi.

In quel gesto, in quel Pane, in quella preghiera… c’è tutto Cristo.

Avanzano dodici ceste…

Un Amore Infinito abbondante, sovrabbondante…

Dono e missione.

Date voi…”

Non solo prendere… non solo pre-tendere…

Dare, servire…

Gesù è esplicito: servire, dare, donare, condividere, amare…

Quelle folle in quel territorio di Betsaida “cercano” Gesù, e Lui non si sottrae, parla loro, guarisce, annuncia, pre-annuncia quel Regno… per tutti.

Quella folla lo “segue”, lo “ascolta”, si “nutre” di Lui… e gli apostoli che lo seguono… comandano… “congeda…” che tristezza…

L’uomo “comanda” a Dio.

“Congeda” (mandali via)… un verbo all’imperativo… quasi che l’uomo sapesse che cosa è “meglio per l’uomo”…

Quanta presunzione…

Quasi che Gesù non si fosse accorto quanti erano, quanta fame avevano, quanta disponibilità di cibo vi fosse, in quale condizione di deserto si trovava…

Povero uomo… non riesce a comprendere la “logica” di Dio, quella dell’Amore, della compassione, del bene per la persona…

L’uomo che pensa solo a se stesso…

E quella frase meravigliosa di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare…”, procurate il cibo, servite, donate… ma anche “fatevi” dono.

“Datevi voi”…

Se ci nutriamo dell’Eucaristia sapremo “farci dono”, se “facciamo comunione”, “saremo comunione”, saremo “cibo” così come lo abbiamo ricevuto.

I cristiani…

Di Cristo…

Ma quanto sappiamo essere Cristo?

Troppo preoccupati di “prendere”, di “soddisfarci”, di “bastarci”, abbiamo dimenticato che cosa vuol dire essere “di Cristo”, “in Cristo”, “per Cristo”…

Quei cinquemila siamo noi…

Lo ricordiamo, la prima comunità cristiana era formata, secondo il testo degli Atti degli Apostoli, da circa cinquemila uomini, dunque… la comunità…

Insieme, “Tutti”.

In gruppi, ma insieme, “sfamati” per “sfamare”.

Sotto l’azione dello Spirito (ricordiamo che questa pagina riprende in diversa misura il numero cinque, per eccellenza, nella Bibbia, numero dello Spirito Santo).

E all’ora con quella “forza” che viene dall’azione dello Spirito Santo, ogni azione diventa Grazia, segno efficace: benedizione, spezzare il pane, distribuire, mangiare, raccogliere…

Non “proprietari” del Pane, ma a “servizio” del Pane nella comunità, tra la folla riunita a gruppi…

Comunione e servizio.

Perché la comunione è condivisione, è dono e crea “pienezza”: “Tutti mangiarono a sazietà”.

Per un “avanzo”, una “sovrabbondanza”, non per “pochi” (come le dodici tribù e i mesi dell’anno, segno della totalità del tempo), ma per la condivisione dei doni di grazia di Dio.

Figli e fratelli di quel pane spezzato, di quel corpo donato.

“Moltiplichiamo” il pane, ma impariamo ad andare oltre la “divisione”: Gesù ci ha chiesto di con-dividere, non creare divisione, di dare per poter ricevere, di imparare a donare per essere dono, di far diventare la Parola, Pane, di non “mandare” a casa, ma di “trattenere” per poter ancora “stare”, per non “tenere per sé”, ma per far “moltiplicare” e “saziare”.

Diventiamo “servi” della Parola e del Pane: questo è il nostro compito,

Usiamo quei verbi  che l’evangelista Luca usa per “inaugurare” un nuovo stile di Gesù e della Chiesa: alzare gli occhi, benedire, spezzare e dare.

Ri-partiamo da qui.

Celebriamo l’Eucaristia per essere segno vivente e visibile del dono di Dio al mondo, per essere servi della condivisione, apostoli del dono, non possiamo solo “partecipare” all’Eucaristia, dobbiamo “celebrare”, essere ciò che Gesù ci ha chiesto di essere e di fare.

Anche San Paolo lo ricorda ai Corinti nella sua lettera (seconda lettura): “celebrare al Cena”, non per “riempirci la pancia” in modo egoistico e formale, non per “ripetere un rituale” (già in uso consolidato presso gli ebrei sia prima che dopo il pasto), ma per vivere in “modo nuovo”, come ha insegnato Gesù, quelle parole e quei gesti.

Non dimentichiamo che, come  comunità cristiana, partecipiamo in modo efficace all’evento salvifico della morte e risurrezione  di Cristo: questo per noi è impegno e responsabilità che ci invita alla comunione ed alla condivisione, con tutti.

 

 

Posted in Pagine di Fede

Al Parco Regis di Borgosesia si è svolta, nelle serate di venerdì 13 e sabato 14 giugno la tradizionale Cena della Paella, in alternativa è stato proposto un ottimo baccalà con polenta e altre gustose preparazioni.

L’evento gastronomico, organizzato dall’Associazione Terrieri Montrigone in collaborazione con il Circolo S. Anna, oltre al buon cibo e al divertimento ha dato spazio anche alla solidarietà, infatti l’intero ricavato sarà destinato alla manutenzione dell’antico torchio seicentesco e l’attiguo lavatoio di Montrigone, simboli storici della zona.

Durante l’evento è stata allestita una mostra fotografica con gli scatti di Silvana Mazza che è stata  molto apprezzata.

 

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Redazione di Vercelli

Posted in Eventi e Fiere, Turismo
Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Dagli Atti degli Apostoli

At 2,1-11

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Dal Sal 103 (104)

  1. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
    Oppure:
    R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature. R.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. R.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore. R.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Rm 8,8-17

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

SEQUENZA

Veni, Sancte Spíritus,
et emítte caélitus
lucis tuae rádium.
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Veni, pater páuperum,
veni, dator múnerum,
veni, lumen córdium.
Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolátor óptime,
dulcis hospes ánimae,
dulce refrigérium.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
In labóre réquies,
in aestu tempéries,
in fletu solácium.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
O lux beatíssima,
reple cordis íntima
tuórum fidélium.
O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
Sine tuo númine,
nihil est in hómine,
nihil est innóxium.
Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.
Lava quod est sórdidum,
riga quod est áridum,
sana quod est sáucium.
Lava ciò che è sórdido,
bagna ciò che è árido,
sana ciò che sánguina.
Flecte quod est rígidum,
fove quod est frígidum,
rege quod est dévium.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.
Da tuis fidélibus,
in te confidéntibus,
sacrum septenárium.
Dona ai tuoi fedeli,
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.
Da virtútis méritum,
da salútis éxitum,
da perénne gáudium.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.

Dal Vangelo secondo Giovanni

Gv 14,15-16.23b-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

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UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA

Lo Spirito: santa ebbrezza di Dio

(At 2,1-11; Sal 103; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23b-26)

Gesù prega il Padre perché dopo la sua Ascensione al Cielo i suoi non rimangano orfani, ma ricevano un altro Paraclito: lo Spirito Santo.

ll termine Paraclito (dal greco paràkletos), appartiene al Vangelo di Giovanni e indica: colui che è «chiamato accanto» (para-kalèo; ad-vocatus) come assistente, avvocato, intercessore.

Molti altri sono i nomi e le immagini con i quali la Chiesa indica lo Spirito Santo: Dono di Dio, Guida, Ospite dolce dell’anima, Unzione spirituale, Acqua viva, Nube, Colomba, Fuoco, Vento, Dito di Dio, Amore, Ebbrezza dell’anima.

Nella prima lettura degli Atti troviamo alcune di queste immagini dello Spirito che si manifesta come un vento gagliardo che irrompe all’improvviso e poi come vampe di fuoco che si posano su ognuno dei presenti, che in preghiera attendono nel cenacolo con Maria la promessa del Padre.

Ed ecco che la promessa si compie e tutti sono riempiti dal Dono di Dio, presi da una santa ebbrezza appaiono come ubriachi a tutti coloro che li vedono e li ascoltano proclamare in ogni lingua le meraviglie del Signore.

Lo Spirito non parla di sé, ma annuncia Gesù, insegna il suo Vangelo, ricorda e difende in noi la sua Parola, così dove c’è lo Spirito si trova l’estasi, l’uscita da sé, finalmente si sperimenta la libertà dal girare e rigirare intorno a se stessi, si spezza il cerchio del nostro egoismo.

Coloro che accolgono lo Spirito Santo, diventano uomini e donne capaci di relazioni vere, di incontrare e annunciare a tutti i fratelli e le sorelle il Cristo risorto e la vita nuova che si trova in lui. Chi ama osserverà la parola del Signore e come figlio amato, si lascerà guidare dallo Spirito Santo e diventerà sua stabile dimora, vivendo un rapporto non occasionale ma stabile, fermo, come pietra vivente che edifica il Tempio vivo di Dio.

Lo Spirito che irrompe nel cenacolo e non nel Tempio di Gerusalemme, non abita in un Tempio fatto da mani d’uomo, ma nel cuore di ogni uomo e donna che diventano il vero Tempio, dove Dio desidera e ama dimorare.

Lo Spirito che viene a creare nei discepoli un cuore nuovo, fa sì che essi diventino un solo popolo nuovo.

A ognuno consegna un dono particolare per l’utilità di tutti, il medesimo Spirito crea la diversità e l’unità, per cui il dono di ognuno è di tutti e tutti gioiscono, quale unico corpo, della unicità di ogni membro.

Lo Spirito annuncia la pace del Risorto, chi vive secondo lo Spirito è spinto a diventare operatore di pace, a rendere bene per male, si allontana dall’arroganza vivendo la mitezza, fugge dal frastuono fortificando il proprio uomo interiore con la preghiera e il silenzio, è sempre pronto a rendere ragione della speranza che abita in lui.

Lo Spirito, primo dono del Risorto, annuncia la novità del Vangelo, smuovendoci dalle nostre sicurezze, dai nostri programmi e previsioni.

Chiediamo di non resistere e non difenderci dal Soffio di vita dello Spirito: Egli è freschezza, fantasia che non riempie tanto la mente di idee, ma incendia il cuore spingendo a un servizio di amore nel linguaggio che ciascuno è in grado di comprendere (dall’Omelia di Papa Francesco a Instambul, novembre 2014).

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza     

Posted in Pagine di Fede, Vercelli Oggi
Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

At 1, 1-11

Dagli Atti degli Apostoli.

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

Sal 46

RIT: Ascende il Signore tra canti di gioia.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

  RIT: Ascende il Signore tra canti di gioia.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

  RIT: Ascende il Signore tra canti di gioia.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

  RIT: Ascende il Signore tra canti di gioia.

Eb 9, 24-28; 10, 19-23

Dalla lettera agli Ebrei.

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Lc 24, 46-53

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA

Eredità di Gesù: benedizione e promessa dello Spirito

(At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28. 10,19-23; Lc 24, 46-53)

Nel nostro cammino del tempo pasquale, celebriamo oggi la grande solennità dell’Ascensione del Signore, cioè il suo ritorno al Padre.

Nella Liturgia, il Vangelo secondo Luca, narra l’ultima apparizione del Risorto ai discepoli, che culmina proprio con l’Ascensione: cosa significa questo avvenimento, come dobbiamo intenderlo? Possiamo cercare la risposta nella Parola pregata e vissuta.

Il Signore ci ricorda che tutto quanto è accaduto e accadrà è stato scritto; tutte le Scritture parlano di lui e in lui si compiono, lui è la chiave di lettura dell’intera Bibbia. Gli apostoli, incontrando il Cristo risorto, hanno capito cosa volevano dire i profeti e lo hanno comunicato nella gioia della fede anche agli altri: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.

Di questo gli apostoli sono testimoni.

Abbiamo ascoltato nella prima lettura che Gesù, dopo essersi mostrato ai suoi discepoli vivo, dopo la sua passione, con molte prove durante quaranta giorni, prima di ascendere al Cielo, ordina di non allontanarsi da Gerusalemme e di attendere il compimento della promessa del Padre, quella, disse, che avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece tra non molti giorni sarete battezzati in Spirito Santo. In questo battesimo saranno rivestiti di potenza dall’alto, come sta scritto: riceverete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra (cf At 1,8).

Dopo queste indicazioni Gesù conduce i discepoli fuori da Gerusalemme verso Betania, dove avvenne la resurrezione di Lazzaro, una città il cui significato secondo una versione si traduce con l’espressione casa dei poveri, ed ecco che qui, Gesù, prima di staccarsi dai discepoli dona la benedizione a mani alzate.

In questo passo l’evangelista usa una formula che descrive il gesto del sommo sacerdote, che, compiuto il rito del kippur per il perdono dei peccati, alzando le mani benediceva il popolo. Vuol dire che Cristo è il vero sacerdote che ha realizzato l’antico rito di espiazione: con l’offerta della sua vita ha ottenuto il definitivo perdono dei peccati. Mentre Gesù sale in alto i discepoli si prostrano a terra riconoscendo la divinità del loro maestro.

Gesù sottratto ai loro occhi non è tuttavia lontano, perché colui che è disceso dal cielo è lo stesso che ora ascende al Cielo per liberare i prigionieri, per offrire doni agli uomini, per riempire di sé tutte le cose (cf Ef 4,8ss). Gesù benedice i suoi ed essi tornano a Gerusalemme con grande gioia benedicendo Dio.

Il Vangelo di Luca finisce dove era iniziato, nel Tempio di Gerusalemme: di qui parte la nuova avventura degli apostoli, che benedetti, porteranno al mondo la benedizione di Gesù!

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza     

 

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Bassa Vercellese, Provincia di Vercelli, Vercelli Città

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