VercelliOggi
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Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Is 7,10-14; 8,10

Dal libro del profeta Isaia

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto».

Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».

Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi».

Sal 39

RIT: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

  RIT: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».

  RIT: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

  RIT: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Non ho nascosto la tua giustizia
dentro il mio cuore,
la tua verità e la tua salvezza
ho proclamato.

  RIT: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Eb 10, 4-10

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, è impossibile che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:

«Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,

un corpo invece mi hai preparato.

Non hai gradito

né olocausti né sacrifici per il peccato.

Allora ho detto: “Ecco, io vengo

poiché di me sta scritto nel rotolo del libro

per fare, o Dio, la tua volontà”».

Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.

Lc 1, 26-38

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

***

UN  PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

Eccomi, sono l’ancella di Dio,
in me si compia la tua Parola».
Tu sei la terra obbediente, Maria,
la creazione che ama e adora…
Così la Chiesa ogni giorno ripeta
queste parole dell’umile serva,
e tornerà tutto come all’origine,
quando Iddio camminava nell’Eden.”

– David Maria Turoldo –

Noto come la “profezia dell’Emmanuele”, il brano del profeta Isaia (prima lettura), il testo sarà ripreso dall’evangelista Matteo per l’annuncio del suo Vangelo (capitolo 1).

La liturgia prevista per la data odierna, prevede la lettura del brano parallelo del Vangelo di Luca al capitolo 1.

Il “tempo” del 734 a.C. per una serie di anni… la dominazione Assira e Babilonese.

Quanto è difficile per l’uomo scegliere e discernere…

Alleanze umane.

Ma Dio non rinnega l’alleanza con l’uomo.

Emmanuele: “Dio con noi”.

Dio con l’uomo.

Il capitolo 7 ci presenta il tempo del re Acaz (figlio di Iotam e nipote di Ozia), re di Giuda (la terra dove “scorre latte e miele” è ormai divisa: a sud Regno di Giuda, a nord Regno di Israele).

Il re Acaz è presentato come colui che “Non fece ciò che è retto agli occhi del Signore”(cfr. 2Re 16 e 2 Cr 16).

Un re infedele a Dio, incurante delle promesse fatte ai padri, che si affidò al regno di Assiria ( fece dunque anche “errori politici”), spogliò il Tempio…

Eppure Dio va oltre… non si ferma davanti alle “infedeltà” dell’uomo.

La voce di Isaia prorompe in quei giorni di guerra, in quei giorni in cui si muovono contro Gerusalemme, la voce per Acaz.

Una voce che ancora una volta porta quell’annuncio: “non temete”…

Dio continua a parlare, ma l’uomo non ascolta.

Dio continua a parlare, perché Dio non “si stanca”.

Dio dà un “segno”.

Il “segno” così efficace eppure così incomprensibile per l’uomo, il “segno” per tutti e per ciascuno, il “segno” invocato dall’uomo eppure non sempre l’uomo lo comprende.

La Sacra Scrittura è piena di “segni”.

Eppure occorre sensibilità per comprendere il “segno”, il Mistero.

E Isaia pronuncerà quelle parole: “la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi”.

Ci ha provato Isaia a far riflettere il re: solo in Dio e non nelle alleanze militari troverà sicurezza.

Attendeva un figlio Acaz (Ezechia) o forse il profeta Isaia?

Un “figlio” promesso e atteso.

Isaia “parla”, annuncia, quel futuro promesso, eppure il re non accoglie l’esortazione del profeta: un cuore “duro” che non vuole un “segno”, un cuore presuntuoso che non vuole ascoltare.

Ma Dio concede un “segno”: “La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi”.

Nel “segno” di un bambino, la presenza di Dio con l’uomo, fra gli uomini.

Dio con noi.

Nonostante l’ostinazione dell’uomo, Dio vuole essere con l’uomo, per l’uomo, uomo.

Nonostante l’incredulità, Dio farà germogliare dalla casa di Davide, la promessa del “Dio con noi”.

E la promessa si avvera…

Lo capiranno e lo scriveranno…

Il Vangelo è l’annuncio di quell’ Emmanuele: Dio con noi.

Noi con Dio in quell’annuncio…

Dio con l’uomo e l’uomo con Dio.

In quella casa, a Nazareth,una fanciulla,una sposa promessa,e una Promessa che attraversa i secoli.

Ascolto.

Maria ascolta.

L’angelo viene “mandato”.

Un “mandato” per un “annuncio”.

Un  “annuncio” che se non è ascoltato, cade nel vuoto.

L’annuncio che trova “dimora”, in quella “vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe”: Maria.

Si chiama Maria.

L’evangelista Luca è molto preciso: luogo, nome,condizione, discendenza dello sposo…

Coordinate spazio-temporali: sesto mese, in Galilea.

Il “sesto mese” non di Maria, della cugina Elisabetta: cambia il racconto della storia: da questo momento tutto acquisterà un senso. Da quel tempo.

Indaffarato quell’angelo: dal Tempio alla casa…

L’angelo “mandato”: l’iniziativa di Dio per l’uomo.

Da Gerusalemme a Nazareth: Dio nella quotidianità.

Nella ferialità della vita, nel calore della casa, nell’ordinarietà dell’esistenza.

Dio Presente.

Non distratto o impegnato in cose più “importanti”: Dio Presente nella storia.

La storia del Dio nella storia: l’Incarnazione come promessa e senso della storia.

Interessante quella regione: la Galilea.

Tutto inizia lì e tutto tornerà lì: l’opera di Dio nella storia.

Dio è là dove vive l’uomo, dove vive la donna.

Dio è con l’uomo, con la donna nella quotidianità.

Interessante quella città: Nazareth, mai citata prima nell’Antico Testamento.

Dio è presente dove non lo aspettiamo.

Maria.

“Amata da Dio” e colei che “Ama Dio”.

Amata per amare.

Amata per rispondere, per ascoltare, per accettare.

Maria è “amata” da Dio, scelta, e Dio è “già con lei”.

Eppure Maria “aspetta” a Nazareth, amata.

Maria ha già una “prospettiva”: è “promessa sposa di un uomo”.

Non è “disoccupata”, è “promessa sposa di un uomo di nome Giuseppe”.

Maria è donna di “relazione”, sa che la sua vita è relazione,è promessa, è futuro.

E Maria è lì, davanti a quell’angelo mandato da Dio e sa che Dio è lì.

Dio in ogni tempo ed in ogni luogo.

Maria donna di fede: non si preoccupa del “come è possibile”, ma del “come accadrà”.

Una frase che è già totale affidamento: Sì o Dio, il tuo disegno è la mia risposta libera.

Sì o Dio,la mia fede non “mette in dubbio” la tua Parola.

Amata sono pronta ad amare quel figlio, ad accoglierlo, ad accompagnarlo, a custodirlo, a “stare” con lui, a indicare all’uomo la strada verso di Lui (dirà Maria: “fate quello che Li vi dirà (cfr. Gv 2,1-11).

Non ha dubbi Maria, il disegno di Dio si compirà in lei secondo “la Sua volontà”.

Maria domanda chiarimenti, non esprime dubbio, e dirà : “avvenga di me…”.

Sono la serva del Signore”.

Maria l’amata, la “graziata” (piena, strabordante di Grazia), amata di quella Grazia gratuita, è piena della gioia di Dio.

Rallegrata.

Sarà “serva”: non “badande” o “schiava”, “collaboratrice a tempo” o “a disposizione” dei capricci del momento…

Maria si fa “serva” con l’arte del servizio.

Dal “turbamento” all’assenza di timore.

La Grazia ha allontanato ogni paura, ha riempito cuore e vita.

Il “servizio dell’amore”.

Il “servizio per il Regno”.

Eccomi: donna dell’amore e del dono d sé.

Donna della generosità e della disponibilità (Il Concilio Ecumenico Vaticano II definì Maria “Donna nuova” animata da “ardente carità” (Lumen gentìum, n. 61).

Ecco la serva dei Signore: avvenga a me secondo la tua parola”.

L’ultima parola è di Maria, non dell’angelo.

L’angelo si limiterà a partire, a tornare a Dio: “l’angelo partì da lei”.

Avvenga a me secondo la tua parola”.

La preghiera di Maria.

La Parola annunciata diventa carne, diventa grembo fecondo, diventa uomo, “abita” in lei e la parola di Maria diventa risposta di fede al Verbo.

Il dono diventa “servizio” in Maria.

Totale disponibilità a Dio.

Ciò che è avvenuto è Grazia, è dono e la Parola accolta è Dio Incarnato.

Il “servizio” a Dio con la vita, non la “schiavitù” dell’uomo, ma la libertà della risposta al disegno di Dio.

“Avvenga di me”.

La preghiera di Maria diventi la nostra preghiera tutte le volte che siamo di fronte alla sua Parola.

Maria si “compromette” per Dio: “sono la serva” del Signore.

La sua Parola vivrà in me, il suo disegno sarà la via vita, la sua volontà guiderà i miei passi.

Del Signore sono l’accoglienza, sono la disponibilità, sono l’adesione libera e fiduciosa, sono la risposta d’amore al suo Amore.

E il cammino di Maria sia il nostro cammino.

L’angelo è “partito”, ma Dio ormai è lì con Maria, è lì con l’uomo, è lì nel mondo.

“Serva del Signore” aperta alla santificazione del piano di Dio per il mondo.

Maria allora è modello di “servizio” secondo la “logica biblica” della “dignità”, non “passiva”, ma corresponsabile e libera dell’accettazione del disegno di salvezza di Dio, con una relazione di amore che rende re, profeti e sacerdoti.

Maria è modello di servizio che ci insegna a seguire Cristo, “servo per amore” nella solidarietà con l’umanità.

Maria è modello di servizio come donna, madre, discepola. Donna “affidata” alla volontà di Dio per un futuro di speranza.

Maria è modello di “cooperazione”, lei che con il suo “Eccomi” si è fatta cooperatrice di salvezza è cor-redentrice umile e generosa, ispira ogni credente a “mettere al centro” Cristo con amore e umiltà, con coscienza missionaria e prossimità.

Il sì di Maria è per tutti i cristiani lezione ed esempio per fare dell’obbedienza alla volontà del Padre, la via e il mezzo della propria santificazione” (Paolo VI, Marialis cultus).

E sull’esempio di Maria, lodiamo Dio con le parole del Salmo 39-40: “Ecco io vengo”; “la tua legge è nel mio intimo”.

Il salmista, poggiandosi sull’esperienza di Dio buono e fedele, chiede il suo soccorso, come ha già a sperimentato in passato, perché intervenga nuovamente a salvezza. Egli è fiducioso che il Signore non tarderà nell’esaudire. 

“Eccomi”: la vocazione personale è scoprire che in Dio non è richiesto di “annullare” la  propria volontà, o rinunciare ai desideri. La volontà di Dio è che la persona realizzi se stessa “in pienezza”,  e questo coincide con il “desiderio di Dio”, con il “suo progetto” per ogni uomo e donna.

La vita è la meraviglia della bontà amorevole di Dio.

Bontà che ci fa esclamare con certezza come nella lettera agli Ebrei:

Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”. (seconda lettura).

Quell’ “Avvenga a me secondo la tua parola” di Maria ha già dato  Vita alla storia:una nuova era ha avuto inizio, grazie all’incarnazione, alla morte e risurrezione di Gesù.

La volontà di Dio che rende santi attraverso il sacrificio di Cristo.

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Es 3, 1-8. 13-15

Dal libro dell’Èsodo.
In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.

L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

Sal 102

RIT: Il Signore ha pietà del suo popolo.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.

RIT: Il Signore ha pietà del suo popolo.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.

RIT: Il Signore ha pietà del suo popolo.

Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.

RIT: Il Signore ha pietà del suo popolo.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.

RIT: Il Signore ha pietà del suo popolo.

1 Cor 10, 1-6. 10-12
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.
Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.

Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.
Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

Lc 13, 1-9
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA

Non solo foglie, ma frutti dolci e sostanziosi!

(Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9)

In questo vangelo si narra dell’incontro di Gesù con alcune persone, che vanno da lui per riferire di un fatto di cronaca riguardante un gruppo di galilei venuti in pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua.

Essi erano stati coinvolti in una sommossa contro la potenza romana occupante, e Pilato, il procuratore, facendo intervenire i suoi soldati per soffocare la rivolta, fece uccidere i galilei che l’avevano alimentata.

La morte di questi pellegrini aveva certamente destato scalpore, come avviene a noi di fronte alla realtà di morti violente e improvvise.

Nella concezione religiosa del giudaismo, quei galilei erano stati uccisi perché, essendo peccatori, erano stati puniti da Dio; la malattia e la morte violenta erano considerate come una punizione che Dio infliggeva per i peccati commessi.

Anche noi cristiani ci troviamo a ragionare con una logica simile, pensando che in realtà la salvezza e l’amore di Dio vanno guadagnati e se l’amore è un premio che va meritato, allora è anche vero che il male che ci capita è una punizione.

Non è forse vero che quando ci succede qualcosa di brutto la prima domanda che ci facciamo è: “che cosa ho fatto di male per meritarmi questo?”.

E i conti spesso non tornano, anche dopo l’ascolto quotidiano di tanti dolorosi fatti di cronaca a volte tristemente pubblicizzati per fare audience.

Gesù prendendo la parola, invita i suoi interlocutori alla conversione considerando che c’è qualche cosa di più grave della morte improvvisa, ed è vivere una vita inutile, una vita senza frutto.

La morte prima o poi, in un modo o in un altro, è una realtà sicura per tutti, dalla quale nessun uomo può scappare, e questa verità oggettiva che san Francesco chiamava sorella morte, può essere un monito per vivere al meglio il tempo che ci viene dato.

Anticamente era in uso presso i monaci, quando si incontravano, il salutarsi dicendo: “Ricordati che devi morire”.

Certo sulle prime non sembra davvero un bel saluto, eppure il ricordo che il nostro tempo ha un termine può essere salutare.

E’ un esercizio di consapevolezza che ci aiuta a considerare la vita nella sua fragilità ma anche come la grande occasione per diventare in pienezza quello che siamo chiamati ad essere.

Non siamo padroni del nostro tempo, lo riceviamo come un dono, senza sapere fino a quando, quindi ci avverte Gesù di non rimandare la nostra conversione, pensando incomincio domani.

Ciò che conta è non accogliere invano la grazia di Dio, per non essere come quell’albero di fico che sfruttava solo il terreno e che Gesù raggiunge per cercare frutti senza trovarne.

Gesù non si arrende, anche quando dopo tanto tempo non ci sono i frutti sperati, aumenta le sue cure e i suoi aiuti: zappa attorno all’albero, lo concima con amore perché finalmente non produca solo foglie, solo apparenza, ma anche frutti buoni, anche la sostanza di una vita.

Gesù sa che se non portiamo frutti, non saremo felici; chiediamo che questa consapevolezza rinnovi il desiderio di fare con gioia la nostra parte per offrire non solo foglie ma frutti dolci e sostanziosi a chi ci incontra nel cammino!

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza     

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Gn 15, 5-12. 17-18

Dal libro della Genesi.
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».
Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal fiume d’Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate».

Sal 26

RIT: Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

  RIT: Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.

  RIT: Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.

  RIT: Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

  RIT: Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Fil 3, 17 – 4,1

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.
Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.

La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

Lc 9, 28-36
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA

Si compia anche in noi questa Paola di Luce!

(Gn 15, 5-12. 17-18; Sal 26; Fil 3, 17 – 4,1; Lc 9, 28-36)

In questa seconda domenica di Quaresima vediamo Gesù salire sul monte, luogo simbolo dell’incontro con Dio, in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre apostoli chiamati a diventare testimoni oculari in più eventi importanti della vita di Gesù.

Il monte Tabor dove Gesù s’incammina con i suoi per pregare è in realtà una collina della Galilea che raggiunge un’altezza massima di 588 metri sul livello del mare, un luogo diventato simbolo di luce e di bellezza. L’evangelista Luca sottolinea particolarmente la realtà della preghiera e dice che mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.

La preghiera quando è vera, è una forza che trasfigura, che fa emergere la parte luminosa che è in noi; la preghiera è inoltre una via di comunione tra cielo e terra, come afferma anche la presenza di Mosè che rappresenta la Legge e di Elia che rappresenta la profezia.

La Legge e i Profeti nell’Antico Testamento parlano dell’esodo, del passaggio da questo mondo al Padre, che Gesù avrebbe compiuto a Gerusalemme.

Tutta la Scrittura prepara la venuta di Cristo, annuncia Cristo, conduce a Cristo.

L’Antico Testamento prepara il Nuovo e il Nuovo compie l’Antico: Mose ed Elia scompaiono per lasciare il posto a Gesù che resta solo e che compie in sé ogni Scrittura (cf Lc 24,44).

Gesù rimane in preghiera, e mentre si può pensare che fosse ormai giunta la notte, troviamo Pietro, Giacomo e Giovanni oppressi dal sonno, come accadrà anche sul monte degli ulivi quando non riusciranno a vegliare neppure un’ora con il maestro.

Il sonno qui è visto in negativo come una potenza che opprime e toglie la possibilità di essere presente, di partecipare, di entrare nel mistero di amore del Padre che si rivela in Gesù.

Il sonno nella Scrittura è riferito anche alla morte, dalla quale il Signore è venuto a liberarci: “svegliati tu che dormi e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14).

È l’esperienza che i tre apostoli fanno quando si svegliano, assistendo alla metamorfosi di Cristo, dal greco meta-morphé che significa andare oltre la forma, al di là di quello che è immediatamente visibile, fissare lo sguardo sulle cose invisibili che sono eterne (cf 2 Cor 4,18).

I discepoli contemplano il maestro non solo come uomo, ma come Dio, vedono Cristo nella Luce del Padre, non paragonabile a nessuna luce di questo mondo. 

Nella tradizione orientale si parla di luce taborica delle cose, la luce che viene dall’aver scoperto il segreto, la filigrana della Provvidenza che attraversa tutta la realtà.

Quanto accade lascia anche Pietro senza parole, “non sapeva quello che diceva”, mentre viene una nube che li copre con la sua ombra; la nube è un’altra forma della manifestazione divina che nasconde e rivela la presenza di Dio.

I discepoli entrano nella nube e Gesù che prima era con Mosè ed Elia nella gloria, ora è nella nube con Pietro, Giacomo e Giovanni che formano con il maestro glorioso una comunità di vita e di destino.

Possa compiersi anche in noi questa parola di Luce, questo anticipo di gloria pasquale!

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza     

***

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Dt 26, 4-10

Dal libro del Deuteronomio.
Mosè parlò al popolo e disse:

«Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».

Sal 90

RIT: Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.

Chi abita al riparo dell’Altissimo
passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido».

RIT: Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.

Non ti potrà colpire la sventura,
nessun colpo cadrà sulla tua tenda.
Egli per te darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutte le tue vie.

RIT: Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.

Sulle mani essi ti porteranno,
perché il tuo piede non inciampi nella pietra.
Calpesterai leoni e vipere,
schiaccerai leoncelli e draghi.

RIT: Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.

«Lo libererò, perché a me si è legato,
lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome.
Mi invocherà e io gli darò risposta;
nell’angoscia io sarò con lui,
lo libererò e lo renderò glorioso».

RIT: Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.

Rm 10, 8-13

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».

Lc 4, 1-13

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

Il Signore ascoltò la nostra voce” (prima lettura)

Pochi e semplici versetti eppure la storia del popolo è qui.

Il Dio dei Padri ascolta la voce del popolo, il Signore non abbandona, è un Dio vicino, tenero, sensibile, che ha a cuore il “grido” di ogni uomo.

Un Dio “liberatore”, che accanto alla tenerezza ha braccio teso e mano potente, un Dio che opera “segni e prodigi”.

Un Dio che “guarda” all’uomo nella storia, che ascolta le grida degli oppressi, che salva.

Un Dio che ha “tratto” il popolo da quel paese non suo, un popolo che sa di avere come uno dei “padri” un “arameo errante” (Giacobbe), un popolo che “riceve” una terra, un Dio che “dona” come promesso.

Una fede che è “dialogo” tra Dio e popolo.

Una fede che oltrepassa il tempo e la storia.

Una fede che vede la realizzazione delle promesse del Dio fedele.

E in questo percorso, in questa storia attraverso i secoli “Dio c’è”.

Rassicurante e bella questa “Presenza”, il popolo ebraico lo ha “sperimentato”: Dio è Presente ed opera nella storia.

Non un “dio silenzioso” o “silente”, ma un Dio Presente.

Un Dio che “ascolta” e “vede”.

Ecco il Dio mai nascosto, sempre “vigile”, sempre “in attesa”, sempre paziente  e misericordioso.

Il libro del Deuteronomio ci invita a ripercorrere le vicende dell’esodo, dell’attesa e della promessa, ci invita a “donare” e “ridonare”, “presentare” a Lui ciò che da Lui abbiamo ricevuto.

Una parola che oltrepassa i millenni, che dovrebbe scuotere anche i nostri ricordi e le nostre attese, i nostri dubbi e i nostri scetticismi.

Dio è Presente.

Dio dona.

Dio Salva.

Dio fa “percorrere” il deserto, ma non lascia lì, fa “oltrepassare” all’uomo il deserto, per quella “terra dove scorre latte e miele”.

Non è un semplice “ripercorrere” gli avvenimenti”, è una certezza.

Dal deserto a quella terra…

E san Luca, nel suo Vangelo, ci presenta un “uomo nel deserto”.

Meglio: non un “uomo”, qualsiasi, quell’uomo che appena battezzato nel Giordano era stato chiamato “Figlio prediletto”, un uomo condotto “dallo Spirito” nel deserto.

Nel deserto condotto, dallo Spirito, ma non “abbandonato”.

Catapultato nella “condizione umana” per vivere con i fratelli.

Quaranta giorni… ecco il numero “del deserto”: il numero della traversata e quello della permanenza sul Sinai, quello di quei giorni di diluvio, numero di quegli abitanti a Ninive che attendono il perdono… età in cui Isacco decide di farsi una famiglia, tempo percorso per arrivare all’Oreb e tempo di “esplorazione” di quella terra dove scorre “latte e miele”, tempo di quei “re” di Israele.

Quaranta, lo sappiamo, non è un “numero” ma una lettera (MEM) che nel suo significato ci racconta di un “tempo aperto alla vita”.

Quaranta: tempo di attesa e di prova. Situazione di “provvisorietà”.

Tempo della prova e della preparazione.

Tempo di fede.

Tempo delle decisioni e delle responsabilità.

E quell’uomo, per quaranta giorni nel deserto, non è solo: lo Spirito che  lo ha condotto, lo accompagna alla comprensione della “volontà del Padre”: annunciare con la vita l’Amore di Dio per ogni uomo. “Ebbe fame”: Gesù ha fame.

Un uomo “immerso nella storia”, la sua umanità…

L’umanità nella solitudine e nella prova… nel deserto.

Gesù “immerso” nell’umanità… sabbia, terra, roccia, dirupi, scarsità d’acqua, scarsità di cibo…

In preghiera.

In quel deserto… 40 giorni…

40 giorni di cammino…

Tentazione…

Ebbe fame”: Gesù ha fame.

E dopo quaranta giorni… ha fame.

Ha fame perché non ha mangiato nulla.

E allora quella “prova”, quella “esperienza che trafigge la vita” e che costringe a scegliere.

L’incontro con il “tentatore”.

Il separatore.

Colui che divide.

Il tentatore non si presenta come un rivale, ma come un “collaboratore”: pronto ad aiutarlo ed a suggerire la “soluzione” giusta.

Abile, astuto, grande conoscitore delle debolezze, dei bisogni e dei desideri dell’uomo…

E sperimenta la “tentazione”: “Se…”.

Una  “tentazione” che ha una “premessa” non trascurabile: “Se sei il Figlio di Dio”.

Riecheggiano qui le parole di un’altra pagina di Vangelo (Luca 23, Matteo 27,39-54) che ci aiutano a comprendere la “tentazione”: il rapporto con Dio.

Pane, ricchezza, potere, prestigio, assolutismo, dominio, onnipotenza … per poter “essere dio” e poter “fare a me meno di Dio”.

Il “divisore” trafigge la vita di quell’uomo nel deserto e lo induce ad “attraversare” l’umanità con le sue scelte.

Il “divisore” sa quale sia la verità e si adopera per “separare” dalla verità, per paventare una verità più semplice, immediata, che abbaglia e soddisfa.

Il “divisore” conosce la Verità e vuole allontanarla dall’uomo.

Il “tentatore” che conosce l’uomo e le sue debolezze, sa perfettamente che cosa “proporre”, ma lo sappiamo… “Dio non abbandona nella tentazione”.

Gesù, che conosce le Scritture, non si lascia trarre in inganno.

La Parola è l’alternativa alle tentazioni.

Gesù riprende i testi del libro delle Scritture ( Dt 8,3; Dt 6,13; Sal 91).

La Parola dà senso “al pane”, me lo fa condividere, mi aiuta a relazionarmi con gi altri, non come “padrone”, ma come “fratello”.

La Parola non mi fa “confezionare” un dio che “soddisfa” i miei bisogni, ma mi parla di un Dio che mi cura, che ha sollecita attenzione per me, non quando io penso o credo sia giusto o necessario per me, ma sempre.

La Parola è la bellezza di scoprire Dio in cui riporre la mia fiducia.

La Parola mi fa abbandonare nelle braccia del suo Amore gratuito, non chiede a Lui di farmi abbracciare da altri in sua sostituzione…

E Gesù da quel deserto esce “consapevole”, in preghiera scopre con umiltà il suo “essere uomo” e il suo “essere Dio”.

Gesù accetta il primato di Dio.

Gesù è “pieno” della Parola e se sei “pieno” di Spirito, non hai spazio per la tentazione.

Eppure, ci dice  l’evangelista Luca, “il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato…”

Il male non scompare, sarà ancora là, vicino a quella croce.

Ma ancora una volta Gesù sceglierà l’uomo, il perdono, la salvezza.

E san Paolo dirà: “Gesù è il Signore!” (seconda lettura).

Vita possibile, salvezza e giustizia per ogni uomo.

Dio lo ha “risuscitato dai morti”.

Da quel deserto al cielo.

Per Amore dell’uomo, di ogni uomo.

Per incontrare Dio non servono grande imprese come raccontavano i popoli antichi (camminare sugli oceani, scalare il cielo…) occorre riconoscere che Gesù è il Signore, come avevano proclamato gli apostoli. Proclamare ed annunciare con la bocca e con il cuore, con la vita: ascolto, annuncio, adesione di fede. Non serve altro.

E la fede non delude.

“Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”.

“Chiunque crede in lui non sarà deluso”.

Anche san Paolo, come Gesù nel deserto, cita i testi dell’ Antico Testamento: Isaia 28,16 (“ Dice il Signore Dio: Ecco io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata: chi crede non vacillerà”) e Deuteronomio, in questo caso al capitolo 30 versetto 14 (“questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”):per rinnovare la riposta del cristiano con la fede.

Bocca e cuore per coltivare e proclamare la fede nella risurrezione di Cristo.

Non una salvezza fatta di precetti e comandi, ma una salvezza che parte dalla Parola.

La salvezza vera, per tutti.

E allora apprestiamoci a vivere questo tempo di Quaresima con la luce della Parola, che deve “abitare” il nostro cuore e essere proclamata con le nostre labbra.

Labbra e cuore perché l’annuncio non deve essere trattenuto, altrimenti diventa “deserto”, deve essere portato e condiviso.

Facciamo risuonare in noi lo Spirito, che “conduce” e non abbandona, che guida il discernimento, che accompagna in questo tempo a perfezionarci ed a vivere nella Pasqua di Cristo.

Perché il nostro “abitare” con Dio (salmo) e il “dimorare” alla sua ombra sia la nostra scelta forte e costante, la nostra preghiera fiduciosa e libera, sull’esempio di Gesù e alla sua adesione alla volontà del Padre.

Una speranza che nasce dalla fiducia e dall’ abbandono  in quella sollecitudine di Dio che saprà accompagnare ogni nostro dubbio e tentazione per liberarci e renderci gloriosi.

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(Nell’illustrazione di apertura, Santa Ester – XV dei Libri Storici)

***

( elisabette acide ) – “Ti chiameranno riparatore di brecce, e restauratore di strade perché siano popolate” (Is 58)

La liturgia del giorno 8 marzo propone le letture

Is 58, 9-14; Sal.85; Lc 5, 27-32.),

la prima tratta dal testo di Isaia e, forse, parlando di “donne”, non è fuori luogo partire da qui.

Come Isaia si rivolgeva a quel popolo in esilio, così oggi, il pensiero deve andare a tutte le donne, che sono “riparatrici di brecce”, “restauratrici di strade”, che ogni giorno testimoniano la loro “cittadinanza nella Chiesa” con presenza, impegno, testimonianza, che cercano di riaprire canali comunicativi per eliminare ciò che intralcia il rapporto con gli altri, perché le “strade” siano “popolate” e quelle “brecce” siano “fori di luce”.

Era il 1995 e San Giovanni Paolo II, come pontefice, indirizzava una lettera alle donne in occasione  della IV Conferenza Mondiale sulla Donna indetta dall’ Organizzazione delle Nazioni Unite, che si teneva a Pechino nel mese di settembre: “Anche la Chiesa intende offrire il suo contributo a difesa della dignità, del ruolo e dei diritti delle donne, non solo attraverso lo specifico apporto della Delegazione ufficiale della Santa Sede ai lavori di Pechino, ma anche parlando direttamente al cuore e alla mente di tutte le donne”.

E proseguiva: “Il punto di partenza di questo ideale dialogo non può che essere il grazie. La Chiesa – scrivevo nella Lettera apostolica Mulieris dignitatem – “desidera ringraziare la santissima Trinità per il “mistero della donna”, e, per ogni donna, per ciò che costituisce l’eterna misura della sua dignità femminile, per le “grandi opere di Dio” che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei” (n. 31).Il grazie al Signore per il suo disegno sulla vocazione e la missione delle donna nel mondo, diventa anche un concreto e diretto grazie alle donne, a ciascuna donna, per ciò che essa rappresenta nella vita dell’umanità. Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell’essere umano nella gioia e nel travaglio di un’esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.

E raccontando la donna madre, sposa, consacrata, sorella, lavoratrice, esortava la Chiesa: “si traduca per tutta la Chiesa in un impegno di rinnovata fedeltà all’ispirazione evangelica, che proprio sul tema della liberazione delle donne da ogni forma di sopruso e di dominio, ha un messaggio di perenne attualità, sgorgante dall’atteggiamento stesso di Cristo. Egli, superando i canoni vigenti nella cultura del suo tempo, ebbe nei confronti delle donne un atteggiamento di apertura, di rispetto, di accoglienza, di tenerezza. Onorava così nella donna la dignità che essa ha da sempre nel progetto e nell’amore di Dio.

***

Non si vede bene che con il cuore…” e serve davvero il cuore per “vedere” questa giornata: 8 marzo.

Immediatamente alla mente sovviene la ricorrenza della giornata internazionale dedicata alla donna, alle donne.

Istituita ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 1977, la data rimanda a quel 1908 a Chicago, anche se la prima giornata “ufficiale” della donna “Woman’s Day” nasce negli Stati Uniti il 28 febbraio del 1909.

Come non ricordare quel “pane e pace” di San Pietroburgo, in quell’ 8 marzo 1917 o quell’ 8 marzo 1946 in cui l’Italia si è colorò di “mimosa”.

In Italia la prima Festa della Donna si celebrò nel 1922.

Nel 1977, con una risoluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, fu istituita la Giornata internazionale dei diritti della donna, che costituisce un appuntamento importante per riflettere sulla strada percorsa e guardare al futuro, con un approccio “integrale”, che deve interpellare tutti, in ogni ambito della vita.

“La Chiesa rende grazie per tutte le donne e per ciascuna… La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del “genio” femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità: ringrazia per tutti i frutti della santità femminile”(n. 31).

Papa Francesco ha consegnato la sua riflessione sulla donna nel libro “sei unica”

( di cui ho avuto modo di esprimere alcune considerazioni nel corso di un precedente articolo – leggi cliccando qui ),

proprio all’ unicità della donna e con parole piene di speranza afferma parlando della donna e del suo ruolo nella Chiesa: “Chi è la donna e chi è la Chiesa. La Chiesa è donna, non è il Chiesa, è la Chiesa”, aggiungendo in modo spontaneo, rispondendo alle domande di una studentessa. “La Chiesa è il popolo di Dio, non un’azienda multinazionale”.

E la donna, “è figlia, sorella, madre”.

Sono “relazioni” che esprimono il nostro essere a immagine di Dio, “uomo e donna, insieme, non separatamente”.

Dunque “persone, non individui”, chiamati “fin dal principio ad amare ed essere amati”.

Da qui viene il loro ruolo nella società e nella Chiesa” (discorso all’ Université Catholique de Louvain).

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Mi piace ricordare Papa Benedetto XVI che sottolineava come molte figure femminili che hanno svolto un effettivo e prezioso ruolo nella diffusione del Vangelo. La loro testimonianza non può essere dimenticata, conformemente a quanto Gesù stesso ebbe a dire della donna che gli unse il capo poco prima della Passione: «In verità vi dico, dovunque sarà predicato questo vangelo nel mondo intero, sarà detto anche ciò che costei ha fatto, in memoria di lei (Mt 26,13; Mc 14,9).

Il Signore vuole che questi testimoni del Vangelo, queste figure che hanno dato un contributo affinchè crescesse la fede in Lui, siano conosciute e la loro memoria sia viva nella Chiesa.

Possiamo storicamente distinguere il ruolo delle donne nel Cristianesimo primitivo, durante la vita terrena di Gesù e durante le vicende della prima generazione cristiana.” (Udienza Generale del 14 febbraio 2007: Le donne a servizio del Vangelo | Benedetto XVI).

Ed ancora Benedetto XVI ci ha regalato pensieri profondi che ci aiutano, con coraggio, a “guardare” ad ogni donna ed a promuovere sempre la dignità della donna in quanto persona. Pensiero che ci fanno “guardare” la donna come deve essere guardata: con lo sguardo di Dio.

Nel suo libro Pensieri sulla donna, Libreria Editrice Vaticana, 2012  Non ci si può illudere che la pace sia assicurata finché non siano superate anche queste forme di discriminazione, che ledono la dignità personale, inscritta dal Creatore in ogni essere umano (Pensiero 9. Uguaglianza uomo-donna: fonte di pace).

Nella premura e nell’amore delle donne si preannunzia già il mattino della risurrezione”(Pensiero 19, Gesù di Nazaret, II, pp. 245-255).

Tutti i poteri della violenza del mondo sembrano invincibili, ma Maria ci dice che non sono invincibili. La Donna è più forte perché Dio è più forte. Certo in confronto con il drago, così armato, questa Donna che è Maria, che è la Chiesa, appare indifesa, vulnerabile. E realmente Dio è vulnerabile nel mondo, perché è Amore e l’amore è vulnerabile. E tuttavia vince l’amore e non l’odio, vince alla fine la pace. Questa è la grande consolazione” (Pensiero 53, Omelia 15. VIII.06).

***

E in quel loro “stare” sotto la croce, in quel loro “andare” al sepolcro, in quel loro correre dagli apostoli, il Papa ci ricorda la bellezza dell’ essere donne presenti ed operanti nella vita e per la  vita, nell’ essere profondità e bellezza dell’ immagine di Dio.

 ***

E in questo sinodo sulla sinodalità, la Chiesa percorre proprio quelle “strade” profetiche annunciate dal profeta Isaia l’ essere donne nella Chiesa per “essere” e “stare” con i carismi propri, con i doni ricevuti, non come “collaboratrici” ma “corresponsabili”, promotrici della missione della prossimità, della promozione della comunità, non “comparse”, ma Donne “in uscita”, cooperanti creative,presenti , “guardate” e “chiamate”.

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Siamo chiamati alla “conversione”, non nominale, ma come responsabilità di tutti e voglio citare la frase che credo possa riassumere il cambiamento in atto:

uomini e donne sono chiamati a una comunione caratterizzata da una corresponsabilità non competitiva, da incarnare a ogni livello della vita della Chiesa (Relazione di Sintesi ottobre 2024). Voglio davvero credere a questa “conversione”, che penso possa riassumere ciò che san Paolo già affermava: in Cristo donne e uomini sono rivestiti della medesima dignità battesimale e ricevono in ugual misura la varietà dei doni dello Spirito” (cfr. Gal 3,27-28).

***

E la storia è costellata di esempi di donne che nella loro ordinaria straordinarietà, hanno “fatto la storia”, donne ricordate e donne “anonime”, esempi di coraggio e di dedizione, di libertà e di civiltà, che sono “voce” e che “danno voce”.

 ***

Siamo uomini e donne di speranza che credono che in Gesù la Parola si fece carne, ossia realtà concreta, visibile e tangibile e tutti siamo “chiamati”, tutti siamo “re, profeti, sacerdoti”, corresponsabili e cooperatori ( non è il caso declinare al femminile le parole).

***

E allora a tutte le donne l’augurio che Pio XII rivolse nel radiomessaggio del 14 ottobre 1956:

Alle donne, è affidato l’avvenire del mondo”,  ed alla Chiesa, ricordiamo le parole di Giovanni Paolo I del 1978:

“Ci hai abbandonati, o Signore, ci hai dimenticati!”. “No! – ha risposto Dio per mezzo di Isaia profeta – Può forse una mamma dimenticare il proprio bambino? Ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo”. Anche noi che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E’ papà; più ancora è madre” (Angelus del 10 settembre 1978).

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Mercoledì delle ceneri 

Gl 2,12-18

Sal 50

2Cor 5,20-6,2

Mt 6,1-6.16-18

Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (prima lettura).

Un imperativo accompagna l’inizio della Quaresima. La voce del profeta è una esortazione: Dio attende il “ritorno”, Dio “aspetta”. Il verbo ebraico che esprime questo imperativo è molto interessante, perché ha un duplice significato: viene usato sia per indicare l’espressione “girare intorno”, sia per indicare una “inversione” nel senso di marcia.

Un “cambio” di sguardo e di “vista”, quello “del cuore”, che cerca il volto di Dio. Il volto di un Dio che “si muove a compassione del suo popolo”, un Dio che “è misericordioso e pietoso,
lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male
”.

Davanti ad un Dio così dobbiamo “imparare a credere”, dobbiamo con coraggio “ripensare” con digiuni, pianti e lamenti alla nostra condizione per “ritornare” a Lui, per “ri-volgere” lo sguardo a Lui che non ha mai smesso di guardare a noi.

L’esortazione del profeta Gioele è di una bellezza semplice eppure disarmante: “laceratevi il cuore e non le vesti”, solo “aprendo il cuore” facciamo spazio a Dio. Solo con Dio “nel cuore” possiamo fare esperienza della compassione e della misericordia.

“Lacerare il cuore” è “fare spazio”, è  “aprire una breccia”, è consentire a Dio di entrare nella nostra vita, per portare vita alla vita.

Il profeta Gioele conosce le abitudini del popolo di Israele, abituato a lacerarsi le veste in  periodi di sofferenza e di penitenza, di dolore o sdegno, ed esorta ad un “cambiamento”: non le vesti, ma il cuore, quel cuore che è il nostro “io profondo”, la “radicalità” del nostro essere, il nostro “autentico io”, il nostro noi come “persone”, dove possiamo, se lo vogliamo, “far entrare” un cambiamento per trasformare la nostra esistenza.

Riflettiamo come la pagina biblica propone la scrittura antica dove non esiste una parola per esprimere la “conversione” intesa secondo la logica della parola greca metànoia (“cambiamento di mentalità”), ma viene utilizzato il verbo shub tradotto con “ritornare” e viene in questo caso utilizzato in modo “collettivo”. Il popolo deve “ritornare”, non i singoli, siamo comunità chiamata, tutti: “Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti”, radunati per dar voce ad un “gesto pubblico”, insieme, per riunire la voce nella preghiera. Il peccato è dispersione, allontanamento da Dio, è frattura della comunione, ecco perché occorre “aprire il cuore” per accogliere Dio. Perché Dio è lì, non si è allontanato, continua a guardare il mondo con misericordia e compassione.

Misericordia che sgorga dal riconoscimento della nostra miseria, come le parole umili e potenti del salmo 50, quelle che sgorgano dal cuore di Davide, dopo le parole del profeta Natan.

Pietà di me o Dio”. (Salmo)

Fammi Grazia”.

Le parole più “umane” della miseria dell’uomo che si riconosce peccatore, anche nel “grande peccato”, anche nella “colpa più grande”: Dio tu puoi donarmi la Tua Grazia.

Pietà di noi o Dio.

Lacrime, sofferenze, preghiere… “(Dio) nel tuo grande amore cancella il mio peccato”.

L’uomo che si “riconosce” peccatore davanti a Dio. Il peccato che “allontana” che fa “mancare il bersaglio” (hattá), che mi fa (‘awôn), deviare, curvare, che è (peshá) sentimento di ribellione: “sfida” a Dio, allontanamento dai suoi progetti…

Dio, cancella la mia ribellione, portami in salvo, lava la mia superbia, la mia arroganza, la mia presunzione…recuperami dal mio smarrimento, dal mio vagare lontano da Te…

E Dio “cancella, lava, monda”, dona misericordia alla miseria, se l’uomo apre uno spiraglio a Dio, Egli concede misericordia senza fine.

Voglio aprirmi a Te o Dio, aprire quella breccia del mio cuore, far entrare quel tuo Amore senza fine, per me. Per me, anche con il mio peccato.

“Secondo la tua misericordia”: non è un “accessorio” la misericordia di Dio, è il suo Nome (hésed).

Pietà, Misericordia, Amore: i nomi di Dio.

Bontà infinita.

“Nel tuo grande amore” (rahammìm), quelle “viscere” di Dio, il suo “grembo di madre”, il suo “cuore di padre”, che accolgono, stringono, assumono dentro di sé, accettano, soffrono e gioiscono…con me…

E Dio compie ciò che non è possibile all’uomo: ama, perdona, concede misericordia senza fine.

La misericordia che “accompagna” la persona, che aspetta, che sa attendere, rispettoso della libertà.

Davide ha “camminato” nella consapevolezza che davanti a Dio, posso riconoscermi peccatore e Lui mi attenderà sempre, mi amerà sempre, avrà sempre la sua misericordia per me.

Davide ha camminato nella consapevolezza di Dio e del prossimo, ha “riconosciuto” la sua colpa, e Dio gli dona un “cuore nuovo”, apre nuovi orizzonti di speranza contro la disperazione, perché la misericordia di Dio “sana” la miseria dell’uomo, rende “nuovi” oltre il peccato, oltre la colpa.

E Dio, come ricorda san Paolo, (seconda lettura) chiama al perdono: “lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” . Dio “si muove” verso l’uomo con un amore straordinario: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore” (2 Cor 5,21). Alla comunità di Corinto in quel 57 d.C. Paolo si rivolge in modo accorato, ma quelle parole sono anche per noi: “lasciatevi riconciliare con Dio”.

La parola usata da san Paolo è importante per il contesto nel quale è utilizzata; il termine riconciliazione era in uso in particolare in ambito veterotestamentario per la riappacificazione tra coniugi.

E Gesù, “passa” attraverso la croce, l’attraversa, pur non conoscendo il peccato è stato trattato da peccato, per noi, per noi che peccatori, potessimo essere trattati come “giusti” davanti a Dio.

Il rapporto con Dio e il suo popolo è un “rapporto di alleanza”, un “patto” (come quello tra gli sposi), e il patto prevede l’iniziativa di Dio che non abbandona, che richiama, che ri-concilia e lo fa con il “sacrificio di Cristo” il Figlio amato che dona la vita al mondo.

Iniziativa di Dio ed accoglienza dell’uomo: Grazia e salvezza.

Pace.

E se ci facciamo “riconciliare”, diventiamo “ambasciatori” di quell’annuncio di redenzione che trasforma la vita se siamo disposti a “lacerare il cuore” per far entrare Cristo.

E Gesù la strada l’ha tracciata… sul quel monte, dopo essersi messo a sedere, indica, come riporta il vangelo di San Matteo da cui è tratto il brano della liturgia odierna, la strada: “elemosina, preghiera e digiuno”, per un “ritorno” al volto del Padre.

Nel segreto”…

Mi pare importante ricordare “il segreto”, quello che Dio “vede” e quello che ognuno di noi dovrebbe “vedere” dentro se stesso.

“Nel segreto”… non per la “ricompensa”.

Nel segreto… discernere per agire.

Importante il  discernimento: è un composto di cernere, fare una “cernita”, quindi “setacciare”, “vagliare”, saper “dividere” e “distinguere”, “separare” per non far confusione e lasciarsi confondere.

E per discernere occorre conoscenza, coscienza e libertà.

E Gesù ci aiuta nella “scelta”: “elemosina, preghiera e digiuno”, ci indica i “parametri” di quell’azione di “giustizia”. Verso i fratelli, verso Dio e vero le cose.

Una “giustizia” che trova la sua dimensione orizzontale e verticale: gli altri (elemosina), Dio (preghiera) e le cose del mondo (digiuno).

Nel segreto… non per essere “migliore”, ma per “vedere” il volto di Dio.

Giustizia che è dono e relazione, che è scoperta della nostra identità di persone, giustizia che è amore verso gli altri, verso Dio e rapporto corretto con le cose.

Il “digiuno” non come “privazione” ma come “condivisione”, come giusto rapporto delle cose che da “mie” diventano “per gli altri”. Gesù dà un nuovo significato al “digiuno”: se in Israele si digiunava in modo pubblico e privato, in segno di lutto, di espiazione, nella festa di Yom Kippur, il giorno dell’espiazione del pentimento (il dieci del mese di Tishrì), Gesù investe di nuovo significato del “digiuno”: gli amici dello sposo non digiunano se lo sposo è con loro (cfr.Mc 2,18-22), solo “dopo” digiuneranno.

Invitati a nozze, siamo chiamati alla vita.

Siamo chiamati al “digiuno” fino al giorno del “ritorno”.

Un digiuno che renderà il “cuore puro”, che aiuterà a meditare e vivere la Parola.

Siamo “invitati” al banchetto per essere comunione.

Un digiuno come annuncia il libro del profeta Isaia al capitolo 58: “Il digiuno che io voglio è che tu spezzi il tuo pane con l’affamato, accolga sotto il tetto chi è senza tetto; condivida il tuo vestito con chi è nudo. Questo è il vero digiuno gradito a Dio”.

Siamo invitati a “digiunare” non per “far cosa gradita”, ma per imparare a “vivere” ed “abitare” la mancanza, per “stare” e “far dimorare” in noi Dio che ci viene incontro, che desidera “abitare in noi”.

Il “digiuno” della pienezza di vita, in Cristo.

Il “digiuno” della “volontà del Padre”.

Il “digiuno” dello sguardo vero l’Alto e verso gli altri.

Il “digiuno” che mi fa “gustare” la comunione.

Il “digiuno” che mi fa distinguere e discernere, che mi aiuta a comprendere l’Amore.

Il “digiuno” del profumo di Dio, del volto della gioia e della speranza.

Il “digiuno” “visto nel segreto dal Padre”, non per avere una “ricompensa”, ma per avere “vita piena”.

Il “digiuno” della “libertà dei figli”.

Il “digiuno” che diventa speranza.

Riporto quelle parole di Clemente Rebora ne “La Speranza”:

“Ho trovato Chi prima mi ha amato
e mi ama e mi lava, nel Sangue che è fuoco,
Gesù, l’Ognibene, l’Amore infinito,
l’Amore che dona l’Amore,
l’Amore che vive ben dentro nel cuore.

Amore di Cristo che già qui nel mondo
comincia ed insegna il viver più buono.”

E quel “corno ricurvo di ariete” suonerà per tutte le volte che sapremo “fare qualcosa per Dio nei fratelli”, per tutte le volte che sapremo dare da mangiare, da bere, vestire, trovare, curare, insegnare, sopportare…per tutte le volte che sapremo con cuore semplice e limpido ri-conoscerci peccatori, ri-conoscerci bisognosi, ri-conoscerci fratelli e trasformare la nostra vita, non per il prestigio personale, ma per porla nelle mani di Dio.

E la mia responsabilità diventerà preghiera, elemosina, digiuno.

Per ricordarci “chi siamo”, verso Chi siamo diretti e da Chi siamo attesi.

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Redazione di Vercelli

Posted in Pagine di Fede
Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Sir 27,5-8

Dal libro del Siràcide

Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti;
così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti.
I vasi del ceramista li mette a prova la fornace,
così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo.
Il frutto dimostra come è coltivato l’albero,
così la parola rivela i pensieri del cuore.
Non lodare nessuno prima che abbia parlato,
poiché questa è la prova degli uomini.

Sal. 91

RIT: È bello rendere grazie al Signore.

È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.

  RIT: È bello rendere grazie al Signore.

Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.

  RIT: È bello rendere grazie al Signore.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.

  RIT: È bello rendere grazie al Signore.

1Cor 15,54-58

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
“La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”.
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!
Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Lc 6,39-45

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
“Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA, A CURA DELLE SUORE CARMELITANE DEL MONASTERO “MATER CARMELI” DI BIELLA

La gioia e il coraggio dell’umiltà

Nell’ultima parte del discorso della pianura, Luca ha raccolto diverse sentenze che definisce parabole e che riguardano soprattutto la vita dei credenti nelle comunità e quindi anche la nostra vita.

Il Vangelo inizia con Gesù che ci propone la parabola di due ciechi in forma interrogativa: “può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?”.

Sembra una domanda dalla risposta scontata: può un cieco affidarsi a un altro cieco?

Può farlo solo se pensa che non sia un cieco, se non sceglie con prudenza e sapienza la sua guida, se si inganna o si lascia ingannare.

In quanti subiamo il fascino degli influencer che si moltiplicano in vari ambiti?

Attenzione a quale strada percorrono se non porta dritta a cadere nel buio e nel basso di un fosso.

Gesù ci mette in guardia invitandoci ad essere ben svegli nelle nostre scelte, con gli occhi aperti per riconoscere la bontà degli uomini dai loro frutti, proprio come accade con gli alberi che non possono mentire.

Gesù ci insegna inoltre che non ci si può fare maestri in molti, perché uno solo è il nostro Maestro e la nostra guida e chi vuol guidare gli altri bisogna che sia lui il primo a seguire il Maestro, il primo ad ascoltare e custodire la sua parola facendo grande attenzione a non offrire le proprie convinzioni e le proprie parole al posto delle sue.

Un’altra domanda di Gesù ci fa riflettere in questo vangelo: “perché guardi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”.

Colpisce la sproporzione tra la dimensione minuscola della pagliuzza che si osserva e la dimensione notevole della propria trave che non potrebbe passare inosservata, Gesù chiede: “perché guardi la pagliuzza dell’altro? Perché?”.

Forse perché prendere coscienza della nostra trave ci fa paura?

Perché ferisce mortalmente il nostro orgoglio e lascia senza difese la nostra insicurezza?

Oppure perché interpella la responsabilità a togliere con fatica la trave che ci rende ciechi e troppo severi nei nostri giudizi?

In una favola di Esopo si racconta che ogni uomo, entrando nel mondo, si trova due bisacce appese al collo: davanti, quella piena dei vizi altrui; dietro, quella dei vizi propri; ovviamente vede e stigmatizza quelli degli altri, e non vede invece i propri.

Quanta fatica facciamo a riconoscere i nostri errori… Spesso ciò che vediamo negli altri come trave, lo viviamo in noi come pagliuzza e ciò che condanniamo negli altri, lo perdoniamo a noi stessi.

Il rischio è rimanere nel buio della cecità, impermeabili alla parola della verità che ci fa liberi, che ci rende benevoli gli uni verso gli altri, che ci dona occhi che sanno guardare il bene e il bello e diffonderlo con parole buone che producono frutti di amore e di pace.

Chiediamo a Gesù nostra Luce di vincere le nostre resistenze, di guarire la nostra cecità con la gioia e il coraggio dell’umiltà che illumina la mente e scalda il cuore!

Le Sorelle Carmelitane

Monastero Mater Carmeli – Biella Chiavazza     

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