VercelliOggi
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Venerdì 13 Dicembre alle 17:30 presso il Museo Leone è avvenuta la premiazione dei racconti che hanno partecipato al concorso letterario “Storie da museo”, organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio.

Noi ragazzi della 3ªA del Liceo Classico siamo felicissimi di poter dire che due dei quattro lavori mandati sono riusciti ad arrivare nei primi posti nella classifica under 18, che è stata creata proprio grazie all’elevata adesione al progetto da parte degli studenti.

Ad essere arrivata prima è la nostra compagna Zoe Chemello con il racconto “Addio, Capitano”, inerente alla storia della nave S.S. Umbria, raccontata nel museo della Subacquea Storica di Vercelli di Villarboit, mentre il terzo posto (ex aequo) è stato conquistato da Sonia Maltese con “Per 80 centesimi!”, ispirato all’omonimo quadro presente nel Museo Borgogna di Vercelli.

Intervistiamo le nostre compagne riguardo al concorso e ai premi ricevuti:

Vi aspettavate un risultato simile oppure siete rimaste sorprese della vittoria?.

Penso di poter parlare per entrambe dicendo che siamo rimaste stupite ma  molto soddisfatte di questi risultati – ha risposto Zoe -, quando ho scoperto di essere arrivata prima nella categoria under 18 non ci credevo, ero felicissima, anche perché ho potuto partecipare alla premiazione con Sonia, che è un’ottima amica.”

A proposito della premiazione: com’è stata? Quali premi avete vinto?.

È stata molto interessante e molto seguita: non solo c’erano coloro che si erano occupati attivamente del progetto, dall’avvocato Aldo Casalini, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, a Lorenzo Proverbio, direttore editoriale delle Edizioni Effedi, che pubblicheranno i racconti, ma anche il sindaco della città, Roberto Scheda, assieme ai conservatori di alcuni dei più importanti musei che hanno collaborato per il concorso. Per quanto riguarda i premi, oltre ad un attestato, mi sono stati consegnati anche il libro “Sei sfumature di riso”, l’accesso gratuito a tutti i musei di Vercelli e del territorio e una scatola di Bicciolani” – ha risposto Sonia.

Oltre a ciò – ha continuato Zoefinita la premiazione, è stato dato a noi e alle altre due ragazze classificate un libro ciascuna. Inoltre io ho anche ricevuto il premio “Fondazione Valsesia” che consiste in cento euro, e durante la premiazione è stato letto un estratto del mio racconto”.

Come avete scoperto questo concorso?.

Io non ero a conoscenza di questo nuovo progetto finché non ne abbiamo parlato a scuola con la nostra professoressa di Italiano Marta Boccalini, che ha deciso, essendo ormai a fine anno, di assegnarci come compito delle vacanze un racconto per questo concorso, cosicché una volta tornati a scuola potessimo leggerli assieme, come alla fine è stato fatto. Ho apprezzato molto questo modus operandi, perché in questo modo siamo riusciti ad inviare altri racconti oltre al mio e a quello di Sonia e perché alla fine lavorare con i compagni è sempre più divertente che lavorare da soli” ha affermato Zoe.

Volete ringraziare qualcuno in particolare per questa vittoria?.

Innanzitutto la professoressa Boccalini per averci dato l’opportunità di conoscere questa nuovissima iniziativa; con lei e con la professoressa Acide già l’anno scorso avevamo vinto il concorso nazionale “Ciak si gita” per il miglior cortometraggio… siamo molto contenti di avere queste opportunità di lavorare al di fuori della solita didattica sui banchi. Anche i nostri compagni sono stati un elemento fondamentale per la realizzazione dei racconti” ha dichiarato Sonia.

Oltre a loro, che ringrazio profondamente anche io, vorrei dire grazie ovviamente a tutti coloro che hanno permesso la riuscita del progetto e ai gestori dei musei che hanno aderito numerosi, in particolare al signor Sergio Quaglia, curatore del museo della Subacquea Storica di Vercelli per cui ho scritto il mio racconto” ha continuato Zoe.

Le nostre compagne hanno concluso dicendo che sarebbero felicissime se questo progetto continuasse anche negli anni successivi, affinché non si spenga mai la passione per la scrittura e per il territorio vercellese e valsesiano, che è sentita non solo dagli adulti, ma anche dai giovani e dagli studenti, come questo progetto ha dimostrato.

Francesco Canepari, Zoe Chemello, Sonia Maltese e Virginia Zanoni, 3° A Classico

 

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Redazione di Vercelli

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Vercelli Città

Santa Messa della Notte, in questo Natale 2024 che il Rione Isola di Vercelli ha voluto vivere con un segno di speranza in più.

Davvero, una partecipazione di popolo che non si ricordava: ora le stime sono più semplici, si conosce il numero preciso di posti a sedere, nel Palapregnolato rimesso a nuovo con i recenti lavori di ristrutturazione, sicchè si può dire che il 24 dicembre sera ci fossero almeno 700 persone.

Certo, ad accogliere il Signore che viene, il Verbo che si fa carne, ma anche per dire che, dopo quattro anni nel corso dei quali, prima a causa del Covid, poi per lasciare lavorare il cantiere, questa bella tradizione si è interrotta, ora tutta la comunità vuole rinnovare un appuntamento tradizionale, ma soprattutto, ribadire la volontà di essere protagonista, tutt’altro che “isolata” dal resto di Vercelli.

Un momento davvero alto: chi ha partecipato certamente avrà colto tanti segnali incoraggianti.

Oltre alla partecipazione numerica, molti altri.

In primo luogo, la meticolosa preparazione che si deve alla collaborazione (si intuisce un lavoro di giorni) tra la Comunità pastorale affidata ai Salesiani (Isola, Belvedere, Caresanablot), il Comune, e tanti altri che il Parroco Don Claudio ha ringraziato in modo particolare: Don Gianni, Efrem Fedrigo e Angelo Cino, la Società Hockey Club Amatori Vercelli e i suoi volontari Francesco Lazzarin e Massimo Ferraris, i volontari della Parrocchia Francesco Formisano Maurizio Pramaggiore e Suor Samuela Bordone, la Croce Rossa Italiana – Comitato di Vercelli e gli addetti antincendio Atrap – Alessandro Nardella.Grazie agli Scout Vercelli che hanno animato la Veglia.

Destinatario dei ringraziamenti, non ultimo… anzi, l’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Marco Arnolfo, che ha presieduto la Celebrazione, di cui diremo meglio tra qualche riga.

Il filmato che possiamo offrire ai Lettori, anche per rinnovare così i nostri auguri, presenta dunque un momento di grande significato, per molti profili.

Ce n’è uno, certamente,  di carattere “sociale”.

Ma non meno incoraggianti paiono gli aspetti più squisitamente pastorali.

Ha indicato la strada, Don Augusto Scavarda, che teneva tanto a questa Messa; aveva intuito che il messaggio più attuale di questo giorno stia proprio qui: il Signore viene dove l’uomo vive, dove sperimenta la quotidianità del suo transito terreno, dove realizza nel concreto il progetto che il Padre ha per ciascuno, ciascuno di noi.

Così va bene l’Eucarestia al Palazzetto, ha un significato profondo.

Profondo, ma capace di raggiungere senza difficoltà i cuori: tanto le parole di Don Claudio, quanto quelle dell’Arcivescovo – qualche indizio nel filmato – ricevono un applauso (certo non ricercato come tale) dalla gente.

Un altro dei “segni” che si possono cogliere è proprio in questa partecipazione: non solo per la consistenza numerica, ma anche per come l’assemblea ha vissuto la Liturgia. Con attenzione, compostezza, in un clima veramente di amicizia e di fraternità, lieta e cordiale.

Ancora un “segno”, questa volta tutto rappresentato dalla Liturgia: semplice, sobria, essenziale quanto correttissima per i profili formali, eppure capace di conquistare l’attenzione e soprattutto l’ascolto vero (impianto audio a parte, che qualche cilecca l’ha fatta. Ma, come ha celiato don Claudio, solo una piccola emergenza, ben diversa dall’emergenza che vissero Maria, Giuseppe ed il Bambino, rifugiati in una grotta).

Ma l’ascolto vero è quello del cuore e questo è stato pieno e sarà fecondo.

Infine, come abbiamo anticipato: ultimo, ma non per importanza, il “segno” offerto dal Magistero della Chiesa.

Dal 2014 conosciamo l’Arcivescovo Mons. Marco Arnolfo; possiamo dire incarni naturalmente il modo di essere Pastore insistentemente desiderato ed invocato da Papa Francesco.

Un’omiletica senza fronzoli, né sfoggi dottrinali (che pure potrebbe permettersi senza sforzo, solo a considerare la preparazione del Presule), che viene subito al “dunque”.

Omelia – un particolare in più, non certo che si stia lì con l’orologio, ma lo dice “Movie maker” – che il Vescovo ha contenuto in poco più di cinque minuti (anche in questo caso, come ancora recentemente ha consigliato il Papa a tutti i Sacerdoti), dicendo però tutto ciò che andava detto.

Un esempio per tutti (ma consigliamo di ascoltarla direttamente) a proposito di quella Luce venuta dal Cielo per illuminare l’oscurità dell’umanità, penetrandone soprattutto gli ingranaggi tenebrosi, gli ingranaggi di morte dei carri armati, ma anche “gli ingranaggi tenebrosi dei nostri ragionamenti a volte perversi che non sanno ascoltare, non sanno dialogare, non sanno provare solidarietà né fratellanza”.

Ha concluso la Celebrazione la benedizione finale, impartita con l’ostensione della sacra effige del Bambino Gesù, quel Verbo che era in principio e che è Dio.

Insomma, un bel momento, che ha fatto bene a tutti; ha fatto bene anche all’Isola ed alla città tutta.

***

Poiché la Speranza è al centro dell’Anno giubilare appena iniziato ed anche perché l’Arcivescovo ne ha fatto un chiaro cenno, desideriamo lasciare qualche spunto di riflessione rappresentato a proposito di un tema sempre attuale: la differenza tra Speranza e ottimismo.

Ne ha parlato sin dai primi giorni del suo pontificato Papa Francesco, in occasione di un celebre discorso da Santa Marta nel 2013, poi è tornato sul tema numerose volte e da ultimo con la Bolla di indizione del Giubileo.

Ma, da punti di partenza differenti, anche una grande personalità della cultura laica, poi presidente della Cecoslovacchia, Václav Havel, giunge a conclusioni assonanti.

LA SPERANZA, QUESTA SCONOSCIUTA

(meditazione da Santa Marta)

Martedì, 29 ottobre 2013

«Paolo — ha poi proseguito — ci parla della speranza. Anche nel capitolo precedente della lettera ai romani aveva parlato della speranza. Ci aveva detto che la speranza non delude, è sicura». Tuttavia essa non è facile da capire; e sperare non vuol dire essere ottimisti. Dunque «la speranza non è ottimismo, non è quella capacità di guardare alle cose con buon animo e andare avanti», e non è neppure semplicemente un atteggiamento positivo, come quello di certe «persone luminose, positive». Questa, ha detto il Santo Padre «è una cosa buona, ma non è la speranza».

Si dice, ha spiegato il Santo Padre, che sia «la più umile delle tre virtù, perché si nasconde nella vita. La fede si vede, si sente, si sa cosa è; la carità si fa, si sa cosa è. Ma cos’è la speranza?». La risposta del Pontefice è stata chiara: «Per avvicinarci un po’ possiamo dire per prima cosa che è un rischio. La speranza è una virtù rischiosa, una virtù, come dice san Paolo, di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio. Non è un’illusione. È quella che avevano gli israeliti» i quali, quando furono liberati dalla schiavitù, dissero: «ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso e la nostra lingua di gioia».

***

DALLA BOLLA DI INDIZIONE DEL GIUBILEO 2025 “SPES NON CONFUNDIT”

24.

La speranza trova nella Madre di Dio la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita.

Come ogni mamma, tutte le volte che guardava al Figlio pensava al suo futuro, e certamente nel cuore restavano scolpite quelle parole che Simeone le aveva rivolto nel tempio: «Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35). E ai piedi della croce, mentre vedeva Gesù innocente soffrire e morire, pur attraversata da un dolore straziante, ripeteva il suo “sì”, senza perdere la speranza e la fiducia nel Signore. In tal modo ella cooperava per noi al compimento di quanto suo Figlio aveva detto, annunciando che avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere»
(Mc 8,31), e nel travaglio di quel dolore offerto per amore diventava Madre nostra, Madre della speranza. Non è un caso che la pietà popolare continui a invocare la Vergine Santa come Stella maris, un titolo espressivo della speranza certa che nelle burrascose vicende della vita la Madre di Dio viene in nostro aiuto, ci sorregge e ci invita ad avere fiducia e a continuare a sperare.

***

Václav Havel (1936 – 2011)

«La speranza non ha niente a che vedere con l’ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato. Che abbia successo o meno.»

Posted in Pagine di Fede

Is 52,7-10

Dal libro del profeta Isaìa

Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.

Sal 97

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Eb 1,1-6

Dalla lettera agli Ebrei

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Gv 1,1-18

Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

***

UN PENSIERO SULLA PAROLA – COMMENTO A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

L’ “Eccomi di Dio”:

In quel giorno il mio popolo saprà chi sono io. Io sono colui che diceEccomi!” (Is 52,6).

Il profeta Isaia, qualche versetto prima rispetto alla scelta liturgica della S.Messa del giorno, lo aveva sottolineato.

Dio è l’ Eccomi per l’uomo, anche nelle situazioni più difficili della storia del popolo di Israele, Dio si “fa vicino” (prima lettura).

Su quei “fiumi laggiù a Babilonia…” Dio c’è.

L’angoscia e il “dubbio” dell’abbandono, del “tremolio” della fede, dell’esilio, non fanno dubitare il profeta Isaia: presto ci sarà il ritorno, Dio libererà il suo popolo.

Il messaggero annuncia la pace.

E un messaggero dai “piedi veloci”, arriverà ad annunciare la pace.

La voce delle sentinelle si alza, il ritorno è vicino.

Isaia già “vede” il ritorno.

Annuncia: viene usato il verbo lebasser, che tradotto in greco euangelizomai, che dà origine al termine “vangelo”, (sarà utilizzato dai primi cristiani per annunziare il nuovo annuncio).

L’immagine utilizzata dal profeta è quella della bellezza che racconta la gioia della corsa “a piedi”, sui monti e sulle rocce, sulle asperità e sui terreni impervi… eppure corre, deve annunciare.

Le sentinelle “vedono” quegli uomini, e con loro c’è Dio.

“Piedi veloci” per raggiungere la città, ma “piedi veloci” perché l’annuncio è quello della salvezza.

Il messaggero annuncia e le sentinelle “odono”.

Sentinelle su quelle “rovine” che ora esultano di gioia.

Il popolo torna, per una “nuova rinascita”.

Dio è “portatore di pace”.

La “salvezza del nostro Dio”.

“Per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal cielo”.

Dio ama.

Dio ama ed entra nel mondo, nelle nostre vite.

Un’ iniziativa di Dio verso l’uomo.

Un bambino da amare, un Dio – bambino da curare.

Un Dio che ha “cura”.

L’uomo che accoglie.

Dio si “affida” alle premure dell’uomo, l’uomo si “fida” del Dio Amore.

L’incarnazione del Figlio, nei confronti di tutti gli uomini: per riconciliare noi peccatori con Dio; per farci conoscere il suo amore infinito; per essere il nostro modello di santità; per farci “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4).

La “salvezza” è un dono, dono di Dio nell’Incarnazione, dono da accogliere.

Il Verbo, uomo-Dio, il dono dell’Amore Infinito che “A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio“. (Gv 1)

Ecco il Natale: la dimostrazione di quell’Amore Infinito.

Dio “abita” la nostra vita.

L’Eternità, quel Verbo che “era presso Dio”… “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (v. 14a).

L’evangelista Giovanni ci “presenta” il suo Vangelo, come quelle “onde” del mare che si infrangono sulla sabbia.

Un “moto ondoso continuo”, che pian piano “bagna la sabbia” e lascia traccia dell’acqua.

Pian piano, onda dopo onda, parola dopo parola, quel Verbo viene “presentato”, diventa “Parola viva”, diventa “carne”, “Verbo Incarnato”.

La “prima onda” è quel “en arché”, quell’ “ingresso nella storia”, quella “storia” origina la storia.

Quell’ ebraico bereshit, “in principio”, l’”origine”: il principio del mondo e il principio della “nuova storia”.

Il “Verbo presso Dio” si fa presente diventa “Verbo fatto carne”, uomo tra gli uomini, Dio tra l’uomo.

In principio c’era il Logos”  e Giovanni con una raffinatezza teologica, ci racconta di quella Parola viva e operante nella storia: tutto per mezzo di Lui e in vista di Lui.

Fuori di Lui “tenebre ed abisso”.

E il Verbo è la Luce che “risplende nelle tenebre”, anche se le “tenebre non l’hanno accolta”, il Verbo risplende e dona la bellezza di diventare “Figli”.

“Figli di Dio”.

Figli e fratelli.

No, quella Luce, non possiamo “accenderla” o “spegnerla”, non possiamo “afferrarla”, eppure quella luce ci “invade”, ci “guida”, ci “illumina”.

Quella Luce è “Via, Verità e Vita”.

Il Vangelo di Giovanni, tutto è già qui, in questo Prologo.

Tutto è già qui: nel mistero del Natale, di quel Dio Incarnato, di quella Parola fatta carne, in quel bambino nato per il mondo.

Gioia e speranza: tutto in queste righe.

Quella “luce” che “illumina”, che non ha più bisogno di altre luci, di altri annunci, di altre fiamme o fiaccole. La “Luce viene nel mondo” e da quel momento il mondo non avrà più bisogno di accendere altre fiaccole.

Certo il mondo e l’uomo, possono “non riconoscerlo”, ma la luce non smetterà di brillare, di illuminare, di guidare, di salvare.

Il “Logos” si “fa carne”, accetta la fragilità dell’uomo, la accetta, pur conservando la sua divinità.

“Abita” il mondo, condivide il mondo, passa attraverso la fragilità del mondo (eccetto il peccato) e la sua presenza dona la salvezza.

La sua presenza tra l’uomo rivela il Volto di Dio.

Rivela un volto di Dio padre e madre, un volto di misericordia e di prossimità, un volto di pace e di gioia, un volto tumefatto e coperto di sputi, un volto che perdona e un volto che è luce.

Quella “tenda” che ha accompagnato il popolo nel deserto, ora diventa “presenza di Grazia”.

Una Parola vissuta o rifiutata.

Ecco la teologia del Vangelo di Giovanni: La Parola è nell’uomo, cresce, matura, diventa vangelo, diventa annuncio, diventa missione.

La Parola che diventa carne ci fa vedere Dio “faccia a faccia”.

Parola che è sono, comunicazione, comunione, Grazia.

E l’uomo vivrà della Parola, Gesù è la Parola del Padre.

Carne come “luogo” della rivelazione di Dio.

E il Figlio, nella sua dimensione di Figlio nella sua carne mi racconta chi è il Padre e tutto il Vangelo di Giovanni, sarà allora, il racconto di chi è Dio Padre, un Padre che è suo (di Gesù) e Padre nostro, e attraverso la “condivisione” della carne, condivideremo figliolanza e fratellanza.

E allora, non possiamo non “ascoltare” la Parola, quella parola di Dio che “ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo” (seconda lettura).

Una lettura che potremmo dire, ha il sapore di un “insegnamento”, utilizza infatti tutte le “categorie” antico-testamentarie: annuncio dei profeti, categorie giudaiche delle attese messianiche, sacerdozio e sacrificio, categorie sapienziali di quella parola che è sapienza di Dio.

E con queste “categorie” che viene descritto il Figlio, Gloria di Dio.

Un Figlio che “partecipa” dalla creazione alla salvezza dell’umanità.

Gesù è Dio.

Gesù è la Parola vivente di Dio.

La Parola di Dio diventa “definitiva”, ha parlato attraverso il Figlio, Parola compiuta e definitiva.

Figlio, “erede” di Dio, nel quale le promesse si compiono, pace, libertà, salvezza, compimento della storia.

Il nostro Natale sia questo: uniamoci agli angeli nella lode, uniamoci ai pastori nell’annuncio, diventiamo testimoni di quel Verbo Incarnato, con la missione della prossimità, con la speranza e la gioia che ci vengono dalla certezza che in quel bambino noi vediamo il Volto di Dio, un Dio Amore che ci sono la salvezza.

Posted in Pagine di Fede
Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Is 9,1-6

Dal libro del profeta Isaìa

Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Màdian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

Sal 95

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli.

Tt 2,11-14

Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

Lc 2,1-14

Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

***

COMMENTO A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

Usciti da quell’ orizzonte desolato, dal deserto fisico ed esistenziale, dall’ oscurità del cielo, da quelle “domande contro Dio” e contro l’uomo che conquista e crea oscurità ed angoscia… tornerà la luce.

E proprio il cap.9 dalla prima lettura della liturgia odierna, si apre con un oracolo gioioso, che definisce il mondo nuovo, un mondo che si apre con un bambino, segno piccolo, eppure grande: un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”.

Un bambino che sarà “re”, che sarà “grande”.

“Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine”.

Protagonista è la speranza che apre orizzonti vasti, ci aiuta a procedere nel cammino della vita, soprattutto nei momenti più difficili. Il desiderio come motore della speranza; “de-sideribus”, che “vuole vedere” quelle stelle, quel cielo, qualcosa che “scende” dal cielo, dall’infinito, da dove noi veniamo e verso cui tendiamo.

La speranza nel Messia.

Dalla “terra tenebrosa” alla “luce rifulse”.

Dal “passato” al “presente”.

Gioia e letizia che nascono dalla speranza, dalle “tenebre” e dall’abisso nel quale si precipita quando “ci si allontana” e proprio quelle tenebre vedono l’alba.

Come quelle tenebre che “ricoprivano l’abisso” (Genesi 1) si sono illuminate da quel “Sia la luce”.

Una “luce” che nasce dalla “Parola”.

Un preannuncio di una “creazione nuova”, nuova “vita”, un “bambino alla vita”, una “Presenza” nel mondo nuovo.

Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian.”

Dio, la speranza del popolo, la speranza che non può venire che da Dio.

Speranza che è il dono della libertà. Dalla deportazione degli Israeliti del nord dove, agli uomini veniva messo un giogo perché non scappassero ed erano spronati a camminare a bastonate.

Ma Dio annienterà l’avversario, toglierà quella “sbarra dalle spalle”, tanto che Isaia lo paragona alla notte di Madian (Gdc.7-8) dove Gedeone, con pochi soldati, riesce, nella notte e solamente con l’aiuto della luce delle torce, a mettere in fuga un intero accampamento nemico.

Un fuoco, una luce che “accende la speranza”.

“Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine”.

Questo bambino sarà “saggio” proprio come quel re che aveva chiesto per sè il dono della saggezza capace di eque decisioni, colui che sarà potente e Padre, con un titolo che riguarda la “funzione politica estera e militare”.

Un Padre che porta a compimento la promessa, che porta a termine i suoi progetti senza che alcuno glielo possa impedire. Dio lo proteggerà e lo guiderà a favore del suo popolo. “Padre per sempre”.

È un appellativo di taglio sociale. Essendo re è “padre della patria” ma la sua paternità è duratura.

È un padre e quindi a servizio del suo popolo, se ne prenderà cura.

Sarà padre e non padrone. “Principe della pace”. Non sarà Signore, perché l’unico Signore è Dio.

È un principe non di nuove conquiste, ma di pace e questa porta tutti quei beni personali e comunitari che rendono bella la vita; è lo “shalom” la vera realizzazione del singolo dentro il gruppo. (Mic.5,3-4)

Un “nuovo” che riecheggia anche nel Salmo:

Gioiscano i cieli, esulti la terra, risuoni il mare e quanto racchiude; sia in festa la campagna e quanto contiene, acclamino tutti gli alberi della foresta”.

Una gioia così potente che anche la creazione la coglie e “partecipa”.

Un “evento di luce”, una “esplosione di luce” che rifulge, che “squarcia” la notte… (Vangelo).

Betlemme, un bambino viene “alla luce” e porta Luce: “diede alla luce il suo figlio primogenito”, in quella notte buia dove i pastori, “vegliavano le veglie”, “la gloria del Signore li avvolse di luce”.

Un’esperienza nella storia, in quella notte del 6-7 a. C, sotto l’impero di Cesare Augusto, quando era governatore Quirinio, tutti impegnati in quel censimento a Betlemme… gli uomini sono “avvolti di luce”.

La tenerezza e la potenza di Dio ha il volto di un bambino: “troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.

Luce e gioia hanno il volto di un bambino.

Un bambino che è avvolto in fasce e che giace in una mangiatoia.

Una delle tante nascite in Giudea, eppure questa non è “una” nascita, è “la nascita”: in questa nascita ci sono luce e gioia, ci sono gli angeli, ci sono uomini “svegli” che corrono e c’è una mamma ed un papà in un katalyma.

Un “caravanserraglio”, un posto “per gli ospiti”, un “ricovero per animali e persone”.

San Luca specifica:

Non c’era posto per loro nell’albergo”.

Giuseppe era di Betlemme, presumibilmente aveva dei parenti, giungono qui, per qualche giorno e “si compirono per lei i giorni del parto”.

Il Katalyma non è una sorta di alloggio commerciale usato per i viaggiatori, per quel tipo di alloggio, Luca usa il termine pandokheion, una “locanda”.

Una donna che sta per partorire ha bisogno di luogo accogliente, sicuro, di privacy…

Un “luogo” per “fare spazio” a quel bambino, per accoglierlo…

Mi piace soffermarmi su questo particolare del Vangelo di Luca, perché ci “racconta” di questa nascita di luce e di gioia e lo fa raccontandoci anche le logiche e le abitudini ebraiche, la “vita quotidiana”, la storia di quella regione con le sue abitudini e regole.

Le case giudaiche del periodo romano in Palestina erano caratterizzate da un’area accanto alla porta, spesso corredata da un pavimento in terra battuta, dove venivano ritirati per la notte, gli animali della famiglia, per evitare furti o vittime di facile preda e con una “utilità pratica”: il loro corpo poteva scaldare la casa nelle notti in cui l’escursione termica era notevole e, in genere questa zona, aveva una mangiatoia per cibo e acqua per gli animali.

La famiglia viveva e dormiva di solito, nella parte sopraelevata della stanza, un po’ arretrata rispetto alla porta. Di solito, le case giudaiche, avevano una “stanza per gli ospiti”, collocata al secondo piano o accanto alla stanza comune della famiglia al piano inferiore.

Occorre anche ricordare che alcune case, proprio nella zona della Giudea del tempo, avevano un “retro” scavato nella roccia, in cui, la famiglia “ritirava” a scopo precauzionale, il bue più prezioso e le bestie da soma affinchè venissero preservati dai furti.

Forse possiamo allora comprendere perché l’evangelista con precisione, ci colloca e ci descrive il “luogo di nascita” di questo bambino.

Luogo, data, collocazione, riferimenti alla TaNakh: san Luca, nel suo annuncio pensa a tutto.

Sotto l’impero di quell’Ottaviano Augusto, nipote di Cesare, che è stato chiamato dal mondo prima addirittura con il titolo di Sôtêr tou cosmou (salvatore del mondo) e poi con quello di Augustus dal 27 a.C., sotto un regno in cui “la pax romana” vigeva in tutti i territori dell’impero, San Luca ci dice:

“Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”, ed aggiunge: “nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.”

Una cronistoria che ha il “sapore” messianico di quella profezia di Michea (5,1-4): il compimento del disegno di Dio profetizzato nella Scrittura e la “luce che viene” della nascita di Gesù.

Non è una “nascita” tra le tante, è “la nascita” tra luce e gioia, tra canti e corse, tra “rassicurazioni” (“Non temete” diranno gli angeli ai pastori).

L’evangelista ci racconta di “quei giorni”, meglio in quei (ekeinais) giorni’ che indicano un momento importante nel tempo della salvezza.

Non ci dice il nome del bambino, ci dice il nome della mamma, Maria e dell’appartenenza familiare del padre: Giuseppe, proprio da quella che fu la città di Davide (secondo re di Israele), per un censimento che è strumento economico e politico in funzione di tasse e impegni militari: il “potere dell’uomo”.

Maria e Giuseppe “rigorosi” osservanti anche delle disposizioni delle autorità romane.

L’uomo esalta la sua “potenza”, Dio nasce “piccolo”.

Il “decreto” dell’Imperatore al “servizio” del “piano divino”.

La fedeltà di Dio alla Sua promessa in Michea 5, 1:

E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele…”

e da 2 Sam 7: la grande promessa a Davide per bocca del profeta Natan.

Il Mistero della Incarnazione.

Eppure “nasce”.

“E’ nato”.

Nasce per gli uomini.

Dio in un bambino.

E Luca (lui che è attento ai particolari legati alla “cura” delle persone) aggiunge una importante e tenera nota: “lo avvolse in fasce”.

Avvolgere i neonati in fasce o strisce di tessuto era considerato un mezzo per costringerli a tenere gli arti diritti, ed allora questo gesto ci racconta l’attenzione e la cura della madre per il neonato.

E viene “deposto”, in quel luogo in cui lo contiene, in una “mangiatoia” phathnȇ (ricordiamo il cesto in cui venne deposto Mosè per proteggerlo, nelle acque del fiume Nilo in Egitto, affinchè fosse “trovato”), ma anche in un “luogo per il foraggio, anche all’aperto”.

Quello “spazio” viene “trasformato” dalla tenerezza e dalla cura di Maria.

Nasce in un luogo di “cibo” per “farsi cibo”, a Betlemme, quella “città del pane” per diventare Pane.

Nasce annunciato…

E da quella regione in cui Davide pascolava greggi ed armenti, ancora ci sono pastori.

Dio “entra” nella vita dell’uomo, Dio viene “annunciato” all’uomo.

“Non temete”.

Andate e poi annunciate.

Sarà gioia, sarà luce, sarà Dio.

Un Dio nato per l’uomo.

Gloria a Dio, gioia, luce e salvezza per il mondo.

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Cari Lettori,

da questo pomeriggio, 24 dicembre e fino al 26 dicembre compreso, ci prendiamo una piccola pausa.

VercelliOggi.it tornerà ad essere aggiornato dal tardo pomeriggio di Santo Stefano e poi regolarmente dal 27 dicembre.

Le caselle di posta elettronica

info@vercellioggi.it 

info@piemonteoggi.it

saranno scaricate ogni giorno.

Per urgenze è possibile mandare un messaggio di whatsapp al numero unico 3358457447

Vi diamo l’arrivederci con un grande augurio di un sereno Santo Natale a voi ed alle Vostre famiglie.

Ci permettiamo un congedo “multimediale”, con questo video che riprende le iniziative al Monastero Mater Carmeli di Biella, con l’opportunità di un incontro con la Madre Superiora, Suor Aurora della Resurrezione, che tutte le domeniche ci offre il commento alle Letture della Liturgia.

Buon Natale.

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Provincia di Vercelli, Regione Piemonte

Non temete, ecco io vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:

oggi, nella città di Davide,

è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.

Questo per voi è il segno: troverete un bambino avvolto in fasce,

adagiato in una mangiatoia»

(Lc 2,10-12).

***

(elisabetta acide) – L’ annuncio è quello della notte di Betlemme del 7-6 a. C.

Una notte come le altre, una nascita… ma non come “le altre”.

Forse una “congiunzione astrale” di Giove con Saturno (fenomeno che compare ogni 805 anni), un “fenomeno astronomico”; possiamo presumere con attendibilità storica l’anno, non il mese, certo il luogo, l’ “evento” storico, è quello del censimento di Cesare Augusto, sotto il governo di Quirino, il 33° del “regno” di Erode che morirà nel 4 a.C. (754 dalla fondazione di Roma).

Non un’eclisse, non una cometa, non lo scoppio di una supernova, non piccoli asteroidi o bolidi vaganti… un Dio Incarnato.

Un bambino deposto in una mangiatoia, in un katályma.

Un “riparo” per uomini e animali.

Una “casa” per Dio.

La meraviglia della Speranza.

La Speranza oltre l’ insperato.

Non serve altro: un riparo, una mamma, un papà e l’abbraccio di Dio.

Dieci chilometri circa  da Gerusalemme: così vicino e così “lontano”.

Due futuri genitori “osservanti” delle regole del giuramento di fedeltà chiesto ai cittadini ebrei alle regole romane di Augusto.

Un viaggio.

Nella città di Davide (Mt 2,5-6; Lc 2,4).

In quella città del pastore, altri pastori.

Di notte.

Le notti in Palestina, in Giudea, sono piene di insidie per chi pascola il gregge, soprattutto quando questo è dato “in custodia” e quei pastori “vegliano”, meglio: “vegliano le veglie”.

Esattamente come Davide, (1Sam 16,11; 17,15.28.34), all’ombra di quella “torre del gregge”, quando, dopo la nascita di Beniamino a Betlemme, egli pianta la tenda al di là di Migdal-Eder (Gen 35,21).

Un annuncio: “Oggi è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore, nella città di Davide(Lc 2,10-12).

Nel tempo in cui Cesare Augusto, si faceva chiamare sotér e kyrios, “salvatore” e “signore”, Gesù, il Cristo-Messia nasce nella città di Davide.

”Salvatore e Signore”.

L’annuncio è dato ai pastori: “oggi (il vero Signore e Salvatore) è nato”.

Un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12).

Dio in un bambino: un “segno” descritto da san Luca, Maria partorisce il suo figlio primogenito, lo avvolge in fasce e lo pone in una mangiatoia, “perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,6-7).

E in quella “casa” una famiglia … e arrivano … invitati dagli angeli.

I pastori svegliati e svegli… vanno alla nascita…

Anche noi, come i pastori, siamo “chiamati”, ci viene chiesto di “recarci alla grotta”, di fermarci ad adorarlo, ma poi ripartire.

Annunciare.

L’annuncio della nascita di Gesù, del Salvatore, del Signore della storia.

E l’annuncio ha percorso i secoli, è arrivato a noi, “dentro le nostre giornate” e ci “chiama”, ci “interpella”.

L’annuncio, ricco di luci, di colori, di festa… ma forse “povero” di fede cristiana.

Regali, auguri, installazioni, decorazioni, messaggi…

E L’incarnazione?

“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).

L’Incarnazione.

Oltre l’ impossibile, oltre il nulla, perché “Nulla è impossibile a Dio”.

Il Mistero di Dio.

La Grazia e la Verità di Dio per l’uomo, ed ancora oggi siamo alla ricerca della verità, pastori scettici e “dormienti”, pastori che forse non riescono a “vegliare”.

Alla “ricerca”, ma ancora “addormentati” e “sonnolenti”, claudicanti e sonnacchiosi, che esitano all’annuncio, che si interrogano e non hanno il coraggio di “andare alla grotta”.

Pastori temporeggiatori, indecisi, pigri, smemorati, inghiottiti dagli ingranaggi del tempo e dell’ economia …

Pastori dell’  “avremo tempo”, “ci pensera  qualcun altro”, del “dovrò farlo io”?

Pastori che si preoccupano della “coreografia” del Natale e non della “sostanza”, del “politicamente corretto” e non della “Verità cristiana”.

Natale è quella notte, quel Bambino, quel Dio Incarnato.

I pastori sono i “chiamati”, i “solleciti”, quelli che pur domandando, partono, vanno, vedono, adorano, annunciano.

I pastori sono i “camminatori di speranza”.

Non i vagabondi e neppure i turisti, i passeggiatori … solleciti camminatori, pellegrini chiamati.

Una meta, un annuncio…

E’ Nato.

Il Natale ci interpella, quel bambino ci interpella, quegli angeli con il loro “Gloria a Dio” ci interpellano, quei “pastori” ci guidano.

Verso quella mangiatoia.

Verso l’ Infinito: il Tutto nel nulla.

“Non temete”.

Perché abbiamo paura? Perché non abbiamo coraggio? Perché rimaniamo nel silenzio delle nostre “sicurezze”, nel sottovoce delle nostre quiete certezze che “ci bastiamo”, che deve “bastare a noi”…

“Non temete”.

Verbo che precede l’annuncio, verbo che annienta la paura, verbo che chiede di “andare”.

L’evangelista San Luca ci “invita” ad andare, come i pastori sono stati invitati dagli angeli: il Bambino è lì, Dio è lì.

Senza l’annuncio non lo riconosceremmo, senza la Parola, quell’annuncio sarebbe “muto”.

E noi come i pastori che in quella notte diventano un po’ i “protagonisti”, senza ovviamente togliere la “scena” al Protagonista, siamo chiamati ad un annuncio di prossimità, ad un annuncio di Verità, ad un annuncio con la vita, con la gioia degli angeli, con la speranza che non delude…

Siamo “pastori”, camminatori e annunciatori o siamo semplicemente “guardiani dei greggi” dormienti e tranquilli?

Non sono soli i pastori in quella notte a Betlemme, hanno vicini gli angeli, portano quella “Parola” che giunge “dall’Alto” e quei pastori ci parlano di un bambino.

Quel Bambino, quella nascita, non una delle tante, “La Nascita” del Figlio di Dio e l’annuncio non è solo per gli abitanti di Betlemme, è anche per noi, oggi.

Per noi che siamo “chiamati” al cammino di fede, che siamo stati “chiamati” alla fede, che abbiamo ricevuto il dono della fede e che non possiamo “tenerlo per noi”.

Un dinamismo di un cammino, fatto di “passaggi”, di testimonianze e testimoni, di angeli, di pastori, di cristiani… uomini e donne … in cammino.

Possiamo essere raggiunti dall’annuncio se ci mettiamo in cammino e se a nostra volta diventiamo annunciatori.

Questo è “l’annuncio del Vangelo”.

Siamo ancora capaci di Annunciare?

Siamo ancora “capaci” di Dio?

Siamo cristiani che si mettono in cammino?

Papa Francesco ci invita ad essere “camminatori”, non semplici “passeggiatori”, “camminatori di speranza”, di quella speranza che è Vangelo, che è Cristo, di quella Speranza che ci chiede di essere gioiosi, annunciatori.

Da “bivaccatori” ad annunciatori: questo hanno fatto i pastori.

Da “sdraiati” e “comodi” sui nostri divani, a cristiani maturi e responsabili, che “tracciano” nuove strade, che percorrono nuovi sentieri, che camminano per le vie del mondo con una notizia: Il Verbo Eterno si è incarnato e noi dobbiamo dirlo al mondo.

“C’erano i pastori in quella regione…”

“Ci sono i cristiani oggi nel mondo…”

E Gesù è nato.

E’ nato per loro e per noi, per tutti…

“Vegliavano le veglie bivaccando”

E noi?

Cristiani che si accontentano del “natale delle luci”, del “natale delle vacanze”, del “natale delle feste e dei pranzi”.

E il Natale di Gesù?

Quanto abbiamo imparato ad “attendere”, “vigilanti”, “profeti” che sanno “leggere” i disegni di Dio?

Forse, siamo diventati “cristiani che non sanno più attendere” che si “accontentano” della “venuta” e basta.

E se non sappiamo più “attendere”, non possiamo più essere “uomini e donne di speranza”, uomini e donne che devono saper “rendere ragione della speranza che è in noi”.

Il Natale è per noi il Dio che Incarnato, ha “accorciato” quella distanza tra cielo e terra, è il Dio che ha Incarnato la Parola, il Verbo che ci ha parlato del cielo, che ci ha “aperto” gli occhi vigilanti verso il cielo.

Abbiamo bisogno di “non temere”, di essere cristiani coraggiosi, di essere “cristiani” che ascoltano e annunciano, che camminano e parlano, che camminano e guardano…

Il timore non è paura, il timore è la consapevolezza che ciò che era atteso si sta avverando, il timore è ciò che non ci fa nascondere, ma che ci invita a celebrare il Natale del Signore, il Natale di Gesù, non il natale dell’atmosfera o dello “spirito” che ci avvolge in una “magia”.

Il Natale del Signore è Carne, è Parola, è Amore.

Non temiamo: il Vangelo è questa notizia, è gioia, è “l’annuncio annunciato”: Dio si è fatto uomo per l’uomo.

Non temiamo: La Parola vince sulle insicurezze, sulle fragilità, sul peccato, sull’umano…

Per voi oggi…”

“Per noi”

Per ciascuno di noi, per la comunità dei pastori, per la comunità Chiesa, per le nostre comunità, per tutti gli uomini, per l’umanità: è Nato.

L’oggi dell’ascoltatore della Parola, è l’oggi dei pastori.

L’oggi della salvezza, l’oggi della Parola che viene ad “abitare” con noi, tra noi, perché noi, accogliendolo, possiamo “abitare” con Lui, perché il nostro “dimorare” sia la nostra vita di cristiani.

Dio “dimora”, il Salvatore, Cristo Signore è venuto a portare la salvezza.

La salvezza dal peccato e dalla morte.

La salvezza che passa attraverso l’umiltà: in una mangiatoia.

La “lezione” di Dio al mondo: troppo presi dalla corsa del denaro, del successo, del potere, del prestigio, ci siamo dimenticati di quella “mangiatoia”, di un Dio che nasce dandoci una “lezione di vita” che ancora non siamo riusciti a comprendere.

L’umiltà che vince la nostra superbia.

L’ umiltà oltre la nostra arroganza.

Lo “straordinario” nell’umiltà, lo Stra-ordinario nell’ordinarietà dell’uomo, rimanendo Dio.

Un Dio Stra-ordinario.

Il Mistero del Natale.

Lo Stra-ordinario di Dio che si fa uomo.

Lo Stra-ordinario nell’ ordinarietà.

Lo Stra-ordinario di Dio che ci invita alla straordinarietà della sua Incarnazione, per essere anche noi uomini stra-ordinari, uomini e donne che sanno amare, accogliere, accompagnare.

Uomini e donne di misericordia.

Ecco il Natale del Signore: l’annuncio della stra-ordinarietà della Pasqua, della Risurrezione, della gioia e della Speranza.

Lo Stra-ordinario di un Dio Onnipotente, di un Dio che non esita a “mandare il Figlio” nell’umiltà della mangiatoia, perché anche noi impariamo a essere umili, semplici, “piccoli”, senza timore, ma con Speranza.

E quelle parole di Papa Francesco (Udienza generale 21 dicembre 2016 Sala Paolo VI) oggi come allora, risuonino per noi “seminatori di speranza”, camminatori e annunciatori di quella gioia che viene dalla pace:

contemplando il presepe, ci prepariamo al Natale del Signore. Sarà veramente una festa se accoglieremo Gesù, seme di speranza che Dio depone nei solchi della nostra storia personale e comunitaria. Ogni “sì” a Gesù che viene è un germoglio di speranza. Abbiamo fiducia in questo germoglio di speranza, in questo sì: “Sì, Gesù, tu puoi salvarmi, tu puoi salvarmi””.

Abbiamo “fatto il presepe”, non basta, fermiamoci a “contemplarlo”, a “raccontarlo”.

Diventiamo “presepe”.

Il presepe è “segno”, è “vangelo vivo”.

E allora, diventiamo “Vangelo vivo”.

Parliamo della bellezza dell’Amore di Dio.

Divina bellezza.

Il Divino “visibile”, “sperimentabile”, “comprensibile”.

La Divina bellezza incarnata: il fondamento della nostra fede.

La Divina bellezza conosciuta e riconosciuta.

Forse il Natale di oggi potrebbe essere questo: conoscere Gesù e  poterlo ri-conoscere.

La potenza di un Dio che salva.

La Divina Bellezza ha un nome “Emmanuele”: Dio con noi.

Dio vicino.

E se Dio è vicino non lo lascio “fuori” dalla mia casa, dalla mia vita.

Lo ”faccio entrare”.

Aprite, spalancate le porte a Cristo!”

Siamo riusciti ad “aprire” o abbiamo solo “socchiuso” e poi ci siamo “ritirati” nuovamente nelle nostre tranquillizzanti ma magari precarie sicurezze?

La Bellezza di Dio con noi sarà il nostro Natale si speranza.

In Gesù la fede si fa speranza, avviciniamoci a Dio che si fa vicino, diventiamo pastori portando noi stessi quello che siamo e torneremo ricchi e gioiosi perché, abbracciati dall’Amore di Dio, potremmo portare la bellezza dell’Amore, non perché siamo “bellezza”, ma perché “diventeremo bellezza” che risplende dell’Amore di Dio.

Il Natale ci chiede di “prenderci cura” di questo Amore, della gioia che nasce dalla speranza, e di non ”trattenere” per noi l’annuncio, ma di diffonderlo e testimoniarlo.

“Nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24).

E il Natale è alba, orizzonte, è luce, è dono e cammino.

Natale è quella “porta” che si apre, è “Grazia di Dio che porta la salvezza a tutti gli uomini (Tt 2,11-12).

Buon Natale!  Con l’augurio che l’Amore possa germogliare in noi semi di speranza.

***

“Quando venne la pienezza del tempo,

Dio mandò il suo Figlio, nato da donna,

 nato sotto la Legge…perché ricevessimo l’adozione a figli”  (Gal 4,4)

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