Vercelli ha avuto il piacere di ospitare, nei mesi scorsi, una giovane studentessa di Architettura al Politecnico di Milano, la Dottoressa (perché le cose sono andate bene e di questo siamo veramente felici) Alessia Baitini.
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La neolaureata ha voluto dedicare la propria Tesi di Laurea ad una realtà vercellese che noi stessi spesso dimentichiamo, la Colonia Elioterapica “fluviale” Maria Pia di Savoia.
Un’opera voluta dal “Regìme” fascista, tra le molte benemerite, di carattere assistenziale.
Fanno sorridere (amaramente, se pensiamo agli odierni termini di consegna dei Lavori pubblici) i tempi di realizzazione di tutto il poderoso complesso:
“La costruzione dell’impianto si iniziò, da parte dell’Impresa Bottalla, nella tarda primavera del 1936 e, caratterizzata da una tempistica costruttiva molto rapida che durò poco più di un anno, fu terminata nell’estate del 1937”.
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Realizzata, dunque nel biennio 1936 – 1937 (dallo stesso anno e fino al 1939, invece, progettazione ed edificazione dell’Opera Nazionale Dopolavoro, lo stabile ora conosciuto come Ex Enal) ebbe lo scopo di promuovere una vita migliore e più sana per tanti bambini e adolescenti provenienti da famiglie non abbienti.
L’impiego della struttura partì con grandi numeri di piccoli Utenti e la Tesi ci aiuta a mettere a fuoco qualche numero: per i 700 e più ospiti, ecco la “lista della spesa”.
Come si vede, 9 tonnellate di pane, 3 di riso, 9 mila litri di latte, 7 mila chili di frutta, numero 7.664 uova, quasi 3 tonnellate di carne. Poi biscotti, marmellate e 21 mila formaggini.
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Alessia Baitini non si limita alla pur documentatissima ed approfondita analisi architettonica, che mette in evidenza soprattutto un dato: lo stile littorio è un patrimonio del nostro Paese, cifra di un’epoca; così come non attinge da nessuna precedente esperienza, si esaurisce senza lasciare contaminazioni in esperienze successive; nemmeno se cerchiamo di tracciare parallelismi con il razionalismo.
Ma, come si diceva, va oltre:
“L’intensivo sviluppo di colonie climatiche in epoca fascista ha lasciato sul territorio italiano un enorme patrimonio architettonico, oggi privo della sua destinazione originale. Solo negli ultimi anni è aumentato l’interesse alla storia e alla salvaguardia di questi numerosi edifici che costellano la penisola.
Un importante lavoro è stato svolto dall’ente Italia Nostra, associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione, che a partire dal 2010, attraverso una mostra itinerante in tutta Italia, ha cercato di far accrescere la conoscenza delle colonie marine del Ventennio, nonché della storia di un importante periodo culturale.
Il problema fondamentale di queste strutture è il loro futuro, che le vede oggetto del dilemma riguardante una possibile opportunità di riqualificazione e nuova vita, o la sconfitta dell’abbandono e l’irrecuperabile degrado (…)”.
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E, dopo una panoramica sul passato e sul presente dell’edificio, non si esime da indagare cosa noi stessi (vercellesi) ne pensiamo se ragioniamo al futuro.
La diagnosi non può che essere problematica:
“Infatti, il progetto previsto dal Comune per il consolidamento strutturale e di conservazione del complesso dell’Ex Colonia di Vercelli riguarda solamente interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e non specifici per un bene che è stato effettivamente riconosciuto di interesse culturale.
Dalla relazione preliminare di progetto, infatti, si evince che il Comune interviene solo per una risposta e soluzione ai danni del degrado fisico, ripristinando e consolidando la materia costruita dove necessario.
Queste operazioni, tuttavia, non costituiscono affatto nel loro insieme un progetto di valorizzazione, in quanto è evidentemente assente la visione culturale e gli obiettivi si limitano solamente alla messa in sicurezza dell’immobile. Inoltre, un edificio riconosciuto come bene architettonico e di valenza storica e culturale meriterebbe di preservare al meglio e quanto possibile le sue caratteristiche originali, le quali tuttavia, secondo il progetto del Comune, rischiano di venire trascurate e cancellate irrimediabilmente per ovviare a problemi tecnici di dispersione termica.
L’ormai noto problema di mancanza di involucro esterno nei corpi laterali, viene infatti risolto tramite interventi che prevedono la realizzazione di un cappotto esterno, causando un notevole impatto visivo ai fini della percezione storica e architettonica del complesso.
Non viene inoltre chiarita la modalità di realizzazione del cappotto – probabilmente perché ancora da definire – che risulta di difficile attuazione per come appare oggi la conformazione architettonica delle facciate.
Tuttavia, la principale lacuna di tale progetto è la carenza di una prospettiva di riuso futuro per quanto riguarda la manica sud (attualmente in disuso), il quale viene solo accennato brevemente, proponendo la possibilità di realizzazione di una nuova palestra, con annessa palestrina per la fisioterapia, locali di servizio (spogliatoi con servizi igienici e docce) ed un campo da squash.
È dunque evidente la mancanza di una visione non solo culturale dell’edificio, che verrebbe, secondo il progetto, sottoposto ad interventi generici e non adatti ad un bene storico-architettonico, ma anche una più concreta visione futura dell’Ex Colonia, la cui porzione meridionale risulta ormai da oltre sessant’anni priva di una funzione al suo interno”.