IN PRINCIPIO ERA IL VERBO – “Ricordati che un soffio è la mia vita” - VercelliOggi.it VercelliOggi
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Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite.

IN PRINCIPIO ERA IL VERBO - Letture dalla Liturgia nella V domenica del Tempo Ordinario - "Ricordati che un soffio è la mia vita" - Commento a cura della Prof. Elisabetta Acide - 

Lo trovarono e gli dissero: "Tutti ti cercano!".

Gb 7, 1-4. 6-7

Dal libro di Giobbe

Giobbe parlò e disse:

“L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra
e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?
Come lo schiavo sospira l’ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
così a me sono toccati mesi d’illusione
e notti di affanno mi sono state assegnate.
Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”.
La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba.
I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, svaniscono senza un filo di speranza.
Ricòrdati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene”.

Sal.146

È bello cantare inni al nostro Dio,
è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d’Israele.

Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.

Grande è il Signore nostro,
grande nella sua potenza;
la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri,
ma abbassa fino a terra i malvagi.

1 Cor 9, 16-19.22-23

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi.
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!

Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

Mc 1, 29-39

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: “Tutti ti cercano!”. Egli disse loro: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”.
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

***

COMMENTO A CURA DELLA PROF. ELISABETTA ACIDE

Il brano della prima lettura è tratto dal libro di Giobbe, uno dei testi, anche se di non facile interpretazione, che aiutano la riflessione dell’uomo sull’esistenza umana, sulla sua caducità, sul dolore… domande alle quali Dio, interlocutore dell’uomo, è chiamato a dare una risposta.

Dolore, malattia, la “lunga notte” dell’umana sofferenza, del dolore, delle domande, dell’angoscia… l’esperienza particolare che diventa esperienza universale.

Giobbe, il profeta della sofferenza, ma anche dell’esistenza umana e terrena, a quel “lasciarsi toccare” dalla Parola di Dio che salva e redime, alla cui luce esamina la sua vita.

Giobbe riconosce che i giorni scorrono più veloci d’una spola e “svaniscono senza un filo di speranza”, come un “soffio è la mia vita”, passa e scorre veloce, senza neppure aver il tempo di fare il bene che uno sperava di poter fare, regolandosi sui propri tempi “umani” e non su quelli di Dio. Illusione di tutti gli uomini che pensavo di essere “eterni” e di avere sempre “tempo” per fare il bene. Il bene lo si fa sempre, senza aspettare tempi che forse non arriveranno, in particolare quando vediamo intorno a noi necessità e bisognosi del nostro sguardo d’amore e di attenzione.

Il dramma di Giobbe, il dramma dell’uomo.

Giobbe “apre” a nuovi schemi, a nuovi orizzonti, l’uomo non può comprendere, ma Dio interviene a “dare conto”.

Paura che attanaglia, che sommerge, che fa soccombere, che minaccia, che paralizza…, ma dal salmo, un grido di speranza, una invocazione fiduciosa: “Ricordati un soffio è la mia vita…”.  

“Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.

Grande è il Signore nostro,
grande nella sua potenza;
la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri…”

“Annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero”.

Gesù, dopo aver insegnato nella sinagoga di Cafarnao, viene portato nella casa di Pietro e qui trova la suocera del suo apostolo a letto con la febbre. Suocera, dunque, madre della moglie di Pietro, di cui però qui non si dice nulla. Suocera, senza “nome”, ma ciò non impedisce a Gesù di avvicinarsi a lei. Gesù si “accosta, si fa vicino, le prende la mano, la fa alzare… una serie di verbi di azioni… non importa il nome… Gesù è vicino a lei, si occupa di lei e lei in “risposta”, guarita, si “occuperà” di lui e del gruppo che era con lui. Una lezione di “servizio” e di reciprocità.

Gesù dalla sinagoga alla casa.

La sollecitudine del “dimorare”, con le persone, anche quando stanno male.

La “passione” per l’uomo, per la donna e per le “condizioni” dell’umanità: amore e passione gratuità per l’uomo, liberazione dalle malattie fisiche e spirituali. Servizio.

La suocera di Pietro guarita, si “risolleva”, cambia la sua “vita”, dalla condizione di “malata” a quella di “sana”, ma anche dalla condizione di prostrazione a quella del servizio, non solo di Gesù che l’ha guarita, ma di tutti.

“Subito”, la suocera di Pietro, non si preoccupa di ri-sistemarsi, di rimettersi in ordine, di riprendersi… subito.

Subito si pone al servizio… nell’ordinarietà e quotidianità della casa, di una casa che ha bisogno di ospitare e ricevere Gesù e gli apostoli… Gesù guarisce per la quotidianità, per l’ordinario e i guariti, subito, servono. Dio ama la normalità, la vita.

Passione per l’uomo e com-passione per l’uomo e con l’uomo: mani che toccano, che guariscono, che accarezzano, sguardi che sfiorano, che scrutano, che accendono, parole che guariscono…

Subito… allora la nostra “guarigione” diventa pienezza di vita con il “servizio”.

“Sono fra voi come Colui che serve” (lo dirà Gesù stesso Lc 22,27)

La giornata di Gesù è davvero “piena”, un avvicendarsi di incontri, di guarigioni, di preghiera, di predicazione. Spazi e luoghi diversi (sinagoga e casa, strada) ma stessi gesti (guarigioni: in sinagoga scaccia uno spirito immondo da un uomo, qui guarisce la suocera di Pietro, ma Marco dice “tutta la città”).

Gesù guaritore e liberatore.

Gesù, dunque “guaritore”, Gesù Signore, come nel libro dell’Esodo Dio stesso dichiara a Israele che il suo nome è: “Colui che ti guarisce” (Es 15,26). Le guarigioni diventano segni messianici, sono vangelo in atti, in gesti.

Una riflessione si pone dalla lettura del brano: l’atteggiamento di Gesù nei confronti della malattia e della sofferenza, “medico delle anime e dei corpi”, prima di Gesù la sofferenza era considerata “peccato” e “colpa”, ricordiamo la citazione di Gv 9,2 “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Secondo una concezione diffusa nel mondo antico, vi era un legame stretto tra il peccato e le malattie fisiche (Es 9,1-12; Sal 38,2-6; Ez 18,20); nel caso di malattie dalla nascita, alcuni rabbini attribuivano la colpa ai genitori, altri allo stesso neonato nel corso della gestazione.  Il convincimento che il male è “castigo” di Dio, “colpa” e “male”.

Gesù, prende atto, constata il fatto dell’infermità e agisce in modo da assicurare ai malati ed ai sofferenti, la piena integrità fisica. Egli compirà segni che manifesteranno agli uomini la sua origine divina e li inviterà a “leggere” la vita in una “luce nuova”. Gesù ribalta e rifiuta il concetto di malattia legata al peccato, perché sa che Dio è amore, misericordia, e invita a “leggere” e trasformare il male in bene, la povertà in opportunità. Gesù non chiede l’offerta della sofferenza, si “avvicina”, le “tocca”, si fa “prossimo”, piega i suoi occhi e la sua vita sulle persone, sulle loro sofferenze, sulle loro difficoltà, sui loro mali.

Gesù sulla croce ha dato un “senso” al dolore, “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie” (Mt 8,17). Redenzione.

Gesù offre un messaggio di speranza e di salvezza: non la sofferenza, ma l’Amore salva.

“Soffrire significa diventare particolarmente sensibili all’opera delle forze salvifiche di Dio offerte all’umanità in Cristo” (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 23).

Notiamo l’annotazione del Vangelo di Marco, Gesù uscito dalla sinagoga, in compagnia di Andrea, Giacomo e Giovanni (Mc 1,29), ci suggerisce che ormai i primi seguaci di Gesù imparano da Gesù guardandolo, ascoltandolo, accompagnandolo, stando insieme con lui, condividendo la sua vita e la sua attività. Nella condivisione della vita quotidiana con Gesù, gli apostoli si “formano” proprio come discepoli e apostoli, saranno infatti chiamati a “stare con lui” e saranno “inviati a predicare e scacciare i demoni” ( Mc 3,14-15).

Il brano presenta una annotazione particolare: “Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”, Gesù è cercato da tanti, (“Tutti ti cercano”), ma Gesù si sottrae a questa “ricerca” va avanti nella sua missione, senza farsi interrompere dal “successo”. Si ritira a pregare. La preghiera di Gesù, forse, dopo aver visto tanta sofferenza e dolore, Gesù ha bisogno di parlare al Padre. Forse Dio ha bisogno di “raccontare” al Padre la sofferenza che ha visto, che ha toccato, che ha guarito, per la quale ha provato compassione… Forse Gesù racconta al Padre lo smarrimento e la sofferenza che vede e percepisce nell’uomo… Gesù: Gli parla dell’uomo, del cuore, dell’umano… momento di consolazione e di conforto… come in quel Getzemani… “Padre…tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42). Notte di preghiera… Gesù proseguirà nella sua predicazione, nel suo annuncio…tutti sono i destinatari dell’Amore di Dio.

Non dimentichiamo di pregare per gli ammalati, non lasciamoli soli, chiniamoci sulle loro sofferenze, sulle loro necessità, sulle loro solitudini… Gesù ci ha “orientato” sul suo giudizio “Ero malato e mi avete visitato”(Mt 25, 36). Fede ed opere. Annuncio.

Come ci ricorda Paolo nella seconda lettura servizio e annuncio che parte dalla com-passione. Annunciare con quell’urgenza, come nel cuore di Gesù; evangelizzare, sulle strade, tra la gente: con l’urgenza della Parola che salva. Parlare ed annunciare il Vangelo con la “lingua” dell’uomo, dell’ “accanto”, della cura, della compassione, dell’attenzione… “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.”  (1 Cor 9) .

Annunciare è “rispondere” ad una necessità, è parlare di Dio, Il Vangelo non va predicato e basta, esso va vissuto e partecipato insieme con coloro che lo accettano liberamente quando viene loro annunciato: diffusione del Vangelo, come via di conoscenza di Dio, rivelato da Cristo.

Annuncio è cura, è avere a cuore l’uomo.

La cura…

Cura, cuore, relazioni.

I vangeli sottolineano anche con termini specifici la cura di Gesù (il verbo greco therapeúein, “curare”, ricorre 36 volte, mentre il verbo iâsthai, “guarire”, ricorre 19 volte).

Curare è servire e rispettare ed avere a cuore il benessere della persona, curare è avere sollecitudine. Gesù vede nel malato una persona, ne fa emergere l’unicità, si relaziona con l’ essere nella sua completezza, cogliendone la ricerca di senso, vedendo la creatura aperta alla fede-fiducia, desiderosa non solo di guarigione, ma di pienezza alla sua vita.

Si può “curare” in modo molto diverso l’uomo, la persona, avere cura è avere “a cuore” il bene della persona.

Accettazione di essere bisognosi di cure, poveri, solo così si può cominciare a camminare e vedere l’uomo in modo nuovo.

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