Nel calendario dei santi e beati il 17 gennaio si celebra la memoria liturgica di S. Antonio Abate, il grande asceta del deserto e padre dei monaci.
Nell’occasione, anche quest’anno la Confraternita omonima, guidata dal priore Giulio Pretti, organizza nella chiesa concattedrale di S. Maria Maggiore tre celebrazioni eucaristiche: alle 9, alle 11 e alle 17,30.
La funzione delle 11 si svolgerà alla presenza delle autorità e con l’intervento del coro delle Scuole Cristiane di Vercelli.
La festa di S. Antonio porta con sé due antiche tradizioni: la benedizione del pane, e la sua conseguente distribuzione ai fedeli in chiesa, e la benedizione dei piccoli animali domestici (in passato, nelle campagne, era uso benedire anche le stalle, oltre al fuoco e alle sementi).
Il pane sarà benedetto all’inizio della prima messa, quella delle 9, e sarà poi distribuito al termine di ogni funzione e la benedizione degli animali sarà impartita al termine di tutte le celebrazioni della giornata.
«Come già avvenne lo scorso anno – ricorda il priore della Confraternita, Giulio Pretti – si è deciso, in accordo con le autorità diocesane, di portare la celebrazione della festa nella vicina chiesa di S. Maria Maggiore, più grande di quella dedicata al santo e sede della nostra confraternita e, per questo, più adatta ad accogliere tutti i fedeli e i loro piccoli animali in uno spazio consono al rispetto di quelle regole sanitarie ancora oggi suggerite, soprattutto per evitare o limitare possibili assembramenti. Per ovvie ragioni non saremo in grado di trasportare in S. Maria Maggiore la statua di S. Antonio, ma ci sarà comunque il labaro della confraternita ad ufficializzarne la presenza».
Antonio Abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa.
Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250, a vent’anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356.
Successivamente il Papa accordò agli Antoniani il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade; nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.
Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di s. Antonio” e poi “fuoco di s. Antonio”.
Per questo motivo, nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.
S. Antonio Abate è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster.
Ancora oggi il 17 gennaio, specie nei paesi agricoli e nelle cascine, si usa accendere i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di sant’Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera.
Redazione di Vercelli