(g.g.) – Oggi è certamente stato uno di quei momenti che, in una comunità, si può chiamare “momento forte”.
Non soltanto per le struggenti parole che al nonno Graziano ha idealmente rivolto l’adorata nipotina Ginevra.
Non soltanto per la testimonianza, composta, intelligente, dolente, rivolta ai tanti presenti in Duomo la figlia Ilaria.
Nemmeno per l’excursus storico, ma percorso da sentimenti che affioravano con tutto l’affetto portato lungo una vita di amicizia da Marco Barberis, penna ineguagliabile, e – sappiamo che ce lo concede – vera “Enciclopedia Britannica” della storia contemporanea della città.
Certo, per tutti questi motivi, anche.
Sono tre interventi che sono riproposti integralmente nel video che abbiamo messo a repertorio e che accompagna queste righe.
Il video riprende altresì integralmente l’omelia dettata da Mons. Stefano Bedello, parroco del Duomo e Vicario Generale della Diocesi di Vercelli, che ha presieduta la Celebrazione.
Perché, dunque, “momento forte” per la comunità?
Soprattutto perché Graziano Bordonaro, scomparso il 19 di questo mese all’età di 83 anni è stato autenticamente vercellese, ha creduto in Vercelli senza riserve, ha dedicato il proprio lavoro, certamente alla propria famiglia, ma anche alla crescita della città, con una visione imprenditoriale capace di cambiare le cose, nella transizoine degli ineguagliabili Anni Sessanta e poi oltre, fino quasi ai giorni nostri.
Una capacità imprenditoriale che aveva intuito e poi mai avrebbe dimenticato quella verità che Giovanni Paolo II avrebbe condensato nella Laborem Exercens: ”Il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso, il suo soggetto”.
Così, se al centro di tutto, nel divenire di una società ci sono gli uomini e le donne che la animano, si spiega anche – lo sentiremo meglio nel video – quella sua attitudine a fare il bene, ad aiutare il prossimo, chi avesse bisogno, sempre senza ostentazione, nel riserbo, quasi con pudore.
Certo, la chiave di lettura più idonea per interpretare una vita straordinaria, che approda a Vercelli nel 1958 (a 16 anni, 17 da compiere) e nel “nuovo mondo” incomincia a lavorare onestamente, con passione e ottimismo e partendo dai gradini più bassi, come sono quelli che percorre il giovanissimo garzone del Bar Beccuti, è proprio quella del lavoro.
E dal Bar Beccuti si inizia anche la mia conoscenza con lui.
Conoscenza che, a proposito di gradini, può essere solo stata affidata ad un racconto.
Il racconto che, a me ragazzo, di lui faceva mio padre, quando mi parlava di quel ragazzo (ora uomo lanciato nella professione) che portava i caffè nell’ufficio dove lui lavorava.
Nacque tra loro un’amicizia – pur nella grande differenza d’età – che sarebbe durata per tutta la vita.
E poi condivisa anche quando Graziano fu raggiunto da tutta la famiglia e s’iniziò l’esperienza del Bar Principe.
Abitato per lunghi anni dalla persona che lui, i suoi fratelli Camillo e Giuseppe (per tutti, Peppuccio), le sue sorelle Maria e Jole, amavano e rispettavano con una devozione che era esempio per tutti: il loro papà Salvatore.
Che ricordiamo, come fosse ora, seduto ad un tavolino del bar a fare loro compagnia: quasi sempre quello in fondo alla sala, sotto la televisione, talvolta invece verso l’ingresso.
Non potremmo aggiungere parole più persuasive di quelle di Ginevra, Ilaria, Marco.
Quindi, ancora solo qualche personale ricordo.
Nel periodo in cui lavorai ed abitai con mia moglie fuori Vercelli, nacque mia figlia, ora maggiorenne.
Tornammo a vivere qui quando lei aveva poco più di due anni.
Uno dei primi posti in cui tutti e tre ci recammo fu il Bar Principe e subito la piccola percepì, nel calore di un’accoglienza che non risentiva di un’assenza durata – salvo brevi rientri – sette anni, un ambiente gioioso e caldo: le piacquero le charlottes, come tanti anni prima erano piaciute a me.
Sicchè, quando passavamo nei paraggi, subito chiedeva: “Ammammu al Pincice”.
In quel periodo si iniziava il “cambio generazionale”, ma la qualità dell’accoglienza, la professionalità, l’intraprendenza, non mutavano.
Ammammu, dunque, al Pincice.
Lo dissi a Graziano quando, qualche mese fa lo incontrai e sarebbe stata l’ultima volta.
Con la consueta affabilità volle farmi vedere alcuni ricordi preziosi e così, quell’immagine di lui tra le cose e le persone a lui più care, è l’immagine che mi piace custodire.






























