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VERCELLI - Gli allievi dell’Istituto Cavour s’innamorano di Pier Giorgio Frassati

La sua breve ma intensa esistenza fu la realizzazione, nel quotidiano, dello straordinario nell’ordinario

Vercelli Città

Diverse classi dell’Istituto Tecnico Cavour, accompagnati dal Prof. Massimo Paracchini, hanno visitato la mostra su Pier Giorgio Frassati allestita in Cattedrale nella settimana dal 10 al 14 novembre. La sua figura e la storia della sua breve vita hanno affascinato subito i nostri allievi che hanno seguito con molto interesse la presentazione e l’inquadramento storico del prof. Gianni Brunoro e della sig.ra Giuseppina Alzate che hanno saputo coinvolgerli con il loro eloquio carico di grande entusiasmo e di passione per il giovane santo.

Pier Giorgio, nato a Torino il 6 aprile 1901, è figlio di Alfredo, senatore e fondatore e direttore del quotidiano «La Stampa», e di Adelaide Ametis, donna dal carattere forte e temperamento d’artista.

Ha una sorella, Luciana, più giovane di un anno, inseparabile compagna di giochi e di studi.

La famiglia appartiene all’alta borghesia ed è di stampo liberale, con il padre agnostico e la madre credente in maniera formale, da cui Pier Giorgio riceve i rudimenti di una fede che invece matura in lui in maniera inaspettata e diventa il fondamento della sua stessa vita.

Frequentò la scuola pubblica «Massimo d’Azeglio» e poi, dopo una bocciatura in latino, l’«Istituto Sociale» dei Gesuiti: qui iniziò a fare la Comunione tutti i giorni, cosa che fece per tutta la vita, ed entrò nelle Conferenze di San Vincenzo. Nel 1918 si iscrisse al Politecnico di Torino: voleva diventare ingegnere minerario «per poter ancora di più servire Cristo tra i minatori».

Entra nel circolo «Cesare Balbo» della FUCI, che diviene luogo privilegiato di formazione cristiana e di amicizia.

Porta all’occhiello il distintivo della Gioventù Cattolica, di cui fa suo il motto: Preghiera, Azione, Sacrificio.

La sua fede profonda si nutre di Eucaristia quotidiana, preghiera e confessione frequente.

È letteralmente innamorato della Parola di Dio.

Fidandosi totalmente delle parole di Gesù, vede nel prossimo la presenza di Dio, si considera «povero come tutti i poveri»: si prodiga in parole e gesti di carità fraterna, sia da solo che nella forma organizzata delle Conferenze di San Vincenzo, per le strade di Torino, nei quartieri poveri, al Cottolengo.

Nelle forti tensioni del primo dopoguerra è impegnato in un apostolato sociale, che lo vede presente anche nelle fabbriche. Convinto della necessità di riforme sociali, nel 1920 entra nel Partito Popolare Italiano che vede come mezzo per realizzare una società più giusta.

Le conferenze di San Vincenzo furono il massimo campo di azione per Pier Giorgio: fu in esse che poté esprimere concretamente la sua carità per i poveri, gli orfani, i senza lavoro, i senza tetto.

A quel tempo molti ragazzi e ragazze si recavano nelle soffitte della Torino povera a portare la loro assistenza.

Ciò che distingueva Pier Giorgio dagli altri era il modo e lo status a cui apparteneva: il figlio del senatore del Regno si abbassava ad avvicinare gli umili, gli ultimi e ciò si compiva non come atto paternalistico dall’alto in basso, ma per condivisione e partecipazione viva e attiva ai drammi del sociale.

Sollecitava spesso i suoi compagni d’Università e dell’Azione Cattolica ad iscriversi alla San Vincenzo.

Diceva loro: «La San Vincenzo è un’istituzione semplice, adatta agli studenti perché non implica impegni, unico e solo quello di trovarsi un giorno della settimana in una determinata sede e poi visitare due o tre famiglie ogni settimana. Vedrete, vi richiederà poco tempo, eppure quanto bene possiamo fare a noi stessi… L’assistere quotidianamente alla fede con cui le famiglie spesso sopportano i più atroci dolori, il sacrificio perenne che essi fanno e che tutto questo fanno per l’Amore di Dio ci fa tante volte rivolgere questa domanda: “Io che ho avuto da Dio tante cose sono sempre rimasto così neghittoso, così cattivo, mentre loro, che non sono stati privilegiati come me, sono infinitamente migliori di me…”».

Alcuni amici lo chiamavano «il facchino degli sfruttati» e certi inventarono per lui una sigla speciale: «FIT», «Frassati Impresa Trasporti».

Nelle soffitte del centro, ma anche in povere case della periferia, portava infatti di tutto: generi alimentari, legna, carbone, vestiti, mobili e quant’altro.

Le sue giornate erano divise quindi tra preghiera, aiuto ai bisognosi, studio e amici.

Dopo la sua morte, i genitori appresero dagli amici del figlio, e da coloro che avevano ricevuto il suo aiuto, lo stile di vita di questo ragazzo che correva per le strade di Torino, sempre a piedi perché i soldi per il tram li offriva in elemosina, per comprare le medicine per le persone ammalate, donando finanche i suoi indumenti per coloro che ne erano privi.

I genitori lo rimproveravano spesso perché arrivava sempre tardi essendo all’oscuro della vita caritativa del loro figliolo.

Nel 1920 il padre è nominato ambasciatore in Germania.

A Berlino Pier Giorgio visita i quartieri più miseri ed entra in contatto con i circoli dei giovani studenti e operai cattolici tedeschi.

Nel settembre 1921 a Roma, durante una grande manifestazione della Gioventù Cattolica, difende la bandiera del suo circolo dall’assalto delle guardie regie e viene arrestato.

È iscritto a numerose associazioni ecclesiali, in cui riversa i tanti interessi della sua vita cristiana.

Figlio del direttore della «Stampa», fa propaganda ai giornali cattolici.

Sin da prima della salita di Mussolini al potere, si schiera apertamente contro il fascismo. È profondamente deluso dall’ingresso di parte dei popolari nel governo fascista, verso il quale ha parole durissime.

È appassionato di montagna e di sport, iscritto al CAI e alla Giovane Montagna. Organizza spesso gite con gli amici (i «Tipi loschi») che diventano occasione di apostolato. Va a teatro, all’opera, visita i musei, ama la pittura e la musica, conosce a memoria interi brani di Dante.

Illimitata è la sua capacità di attenzione alle necessità degli altri, in particolare dei più poveri e dei malati, ai quali dona tempo, energie, la vita stessa.

Due mesi prima della laurea la sua esuberante giovinezza viene stroncata da una poliomielite fulminante, contratta probabilmente nell’assistere i poveri.

Muore a Torino il 4 luglio 1925.

Due giorni dopo, la folla trabocchevole ai funerali inizia a rivelare alla famiglia e al mondo la grandezza della sua testimonianza cristiana.

Comincia così̀ il lungo cammino che porterà alla beatificazione del 20 maggio 1990 da parte di san Giovanni Paolo II e alla canonizzazione il 7 settembre 2025 da parte di Papa Leone XIV.

La vita di Frassati è stata breve, ma non per questo incompiuta.

La sua biografia dà l’impressione di un’esistenza piena, totale, a cui non manca nulla. E, per questo, Frassati è un santo anche per il nostro tempo così grande e complesso, soprattutto per giovani di oggi come i nostri allievi che hanno bisogno di riscoprire la vera fede in nuovi e grandi ideali.

La sua breve ma intensa esistenza fu la realizzazione, nel quotidiano, dello straordinario nell’ordinario.

Ogni suo atto era svolto con la volontà del missionario, dell’evangelizzatore che grida con gioia al mondo il prodigio della salvezza e molti, specchiandosi nel suo sorriso e nei suoi occhi, scrutavano la propria anima.

Gli allievi del Cavour sono rimasti subito profondamente colpiti da questo ragazzo come loro che con grande determinazione ha saputo trasformare tutta la sua grande fede in azione concreta e carità verso gli ultimi e i più emarginati.

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Redazione di Vercelli

Posted in Scuola e Università