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UNA CHIAVE DI VOLTA PER IL TURISMO - Come i piccoli centri resistono grazie all'ospitalità legata al tempo libero

Campanili bassi, case in pietra, serrande a metà. Dietro la cartolina, la crepa: spopolamento, economie che arrancano, servizi che si sfilano piano piano. Eppure qualcosa si sta riaccendendo. Non si tratta dell’ennesimo hotel lucido, ma di modi nuovi (o antichi, ma aggiornati) di fare ospitalità legati al tempo libero. Si vede una maggiore attenzione alle esperienze rispetto alle camere, più relazioni che reception. Questo dettaglio è importante: è lì che, in molti borghi, si intravede una strada praticabile. Non funziona sempre. In parecchi casi ha rimesso in circolo energie, persone, persino sogni, con tutti i limiti del caso.

L’ospitalità diffusa, quasi una chiave di volta

Non è una rivoluzione da manuale, ma cambia l’angolo visuale. I piccoli centri sanno di non poter inseguire i numeri delle capitali del turismo; rincorrerli li condannerebbe a diventare una copia sbiadita. Offrono altro, forse più raro: autenticità, ma vera, non da depliant. Chi arriva non chiede soltanto un letto, ma storie da toccare, mani sporche di farina nel forno della nonna, qualche ora di vendemmia con chi la fa davvero, non la versione “instagrammabile” e via.

Il punto è spostare l’attenzione dall’attrazione al legame. Il casino dell’esperienza turistica di massa spesso delude, fa rumore e lascia poco ricordo; mentre qui, quando funziona, resta addosso la sensazione di un’accoglienza imperfetta, quel tanto che basta per essere umana.

Il modello dell’albergo diffuso

Tra le idee nate in Italia, l’albergo diffuso è probabilmente una delle più intelligenti o tra le più adattabili ai borghi. Invece di costruire di nuovo per chi non si sa, si ricuce: case vuote, stalle ferme da decenni, scuole che stavano cedendo vengono ripensate come camere, reception, spazi comuni. Non tutto fila liscio per via di burocrazia, norme e impianti, ma l’atmosfera non si compra: si eredita.

Gli ospiti non dormono in un non-luogo, ma dentro una storia, con il bar del paese a due passi e il vicino che ti saluta per nome dopo due giorni. Il vantaggio qui è concreto e duplice: patrimonio salvato dalla rovina e lavoro locale che non finisce alla prima pioggia. Non è per tutti, ma per molti sì.

Fondi pubblici e spiragli di crescita

Il settore pubblico, almeno sulla carta, ha colto il punto. Bandi come “Imprese Borghi” e linee del PNRR indirizzano risorse su rigenerazione, turismo sostenibile, servizi culturali. Non si tratta solo di muri rifatti: festival piccoli ma continui, percorsi tematici curati, attività all’aria aperta anche in bassa stagione.

Occorre però una nota realista: i tempi di erogazione possono allungarsi e senza competenze amministrative si rischia di saltare passaggi importanti. Quando l’ingranaggio funziona, il cosiddetto turismo lento diventa meno slogan e più pratica: meno checklist di attrazioni, più qualità del tempo speso. Non sarà la soluzione universale, ma muove l’ago.

La forza della collaborazione territoriale

Un borgo da solo può fare molto; tre o quattro insieme, di più, a patto che si parlino. Alcuni comuni hanno iniziato a costruire offerte integrate: qui si mangia, là si impara un mestiere d’artigianato, più in là si cammina tra paesaggi che, onestamente, non hanno bisogno di filtri. Itinerari cuciti su interessi diversi e stagioni diverse.

Un effetto collaterale importante è la divisione dei costi di promozione, la coordinazione dei trasporti, la formazione di guide che offrono punti di vista differenti. Non è perfetto, perché le gelosie tra campanili esistono, ma il bilancio tende al positivo.

Un futuro sostenibile per i piccoli centri

Dire che il turismo legato al tempo libero “salva” i borghi può suonare troppo netto. In molti luoghi ha riaperto serrature arrugginite. Offre opportunità per i giovani (non solo stagionali, se si pianifica bene), riconoscimento per gli anziani che diventano custodi attivi di saperi, nuove microimprese che fanno rete. Si tratta di un equilibrio delicato: servono limiti di carico, attenzione al paesaggio, prezzi che non espellano i residenti, altrimenti si cambia pelle e si perde l’anima. Però, quando la rotta è chiara e condivisa, succede qualcosa di utile: i borghi non rincorrono la città, la affiancano. E, talvolta, le insegnano persino come si vive.

 

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